Vivere in Cristo, vivere nella Chiesa - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...

VIVERE IN CRISTO, VIVERE NELLA CHIESA
5° Domenica di Pasqua
(At. 9,26-31; Sal. 21; 1Gv.3,18-24; Gv. 15,1-8)

Il tema del “rimanere in Gesù” è particolarmente caro all’apostolo Giovanni. Nella sua prima lettera afferma: “Chi osserva i miei comandamenti dimora in Dio e Dio dimora in lui”(1Gv.5,2). E nella parabola della vite e i tralci i termini “rimanere” e “dimorare” ne sono il cuore. L’immagine della vigna, nel suo simbolismo religioso, era molto nota ai discepoli. Uno degli ornamenti più vistosi del Tempio, eretto a Gerusalemme da Erode, e che Gesù frequentò, era appunto una vite d’oro con grappoli alti come un uomo. Ma soprattutto nelle Scritture il tema della vigna era tra i più significativi per esprimere il rapporto tra Dio e il suo popolo: “Dio degli eserciti, volgiti, guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, il germoglio che ti sei coltivato!” invoca il salmista (Sal 80). E Isaia, nel mirabile “canto della vigna” descrive la delusione di Dio nei confronti di Israele, sua vigna, che aveva curato, piantato, vangato, difeso, ma dalla quale non ha avuto altro che frutti amari.(Is.5).Geremia rimprovera il popolo d’Israele: “Io ti avevo piantata come vite feconda e tutta genuina. Come mai sei diventata una vite aspra, selvatica e bastarda?”(Ger2,21).Nelle parole di Gesù c’è un cambiamento piuttosto singolare: la vite non è più Israele, ma Lui stesso: “Io sono la vera vite” Per comprendere appieno queste parole è necessario collocarle nel contesto dell’ultima cena, quando Gesù le pronunciò. Quella sera il discorso ai discepoli fu lungo, complesso e con i toni di gravità propri degli ultimi momenti della vita: dopo aver chiarito chi è la vera guida del popolo di Dio, dice “Io sono il buon pastore”. Subito dopo, iniziando un secondo discorso, afferma: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo”(Gv. 15,1). Gesù si identifica con la vite, specificando che è la “vera” vite; ovviamente per distinguersi dalla “falsa”. Ma non è una vite isolata. Gesù aggiunge: “io sono la vite e voi i tralci”(Gv.15,5). I discepoli sono legati al Maestro e sono parte integrante della vite: non c’è vite senza tralci, e viceversa. Detto altrimenti: non c’è Cristo senza Chiesa, e non c’è Chiesa senza Cristo. Ogni divisione e scollatura è funzionale a particolari interessi o incomprensioni o mal-comprensioni. Tutto è indissolubilmente legato. Al riguardo sono molto belle le parole di un padre apostolico dei primi tempi della vita della Chiesa, Papìa: “Verranno giorni in cui nasceranno vigne, con diecimila viti ciascuna. Ogni vite avrà diecimila tralci ed ogni tralcio avrà diecimila pampini e ogni pampino diecimila grappoli. Ogni grappolo avrà diecimila acini, ed ogni acino spremuto darà una misura abbondante di vino”. Ecco descritta la Chiesa. Pur nella molteplicità di differenze, dalle più piccole (gli acini) alle più considerevoli (i grappoli): differenze di razza, popoli e culture, di carismi, di doni, di personalità credenti, tutto ha origine da un unico ceppo: Gesù Cristo. E Cristo è legato al Vignaiolo! Pertanto le radici della Chiesa, sono in alto, molto in alto. Ma perché l’amore di Dio, frutto della Pasqua di Cristo, possa scorrere abbondantemente e liberamente nella Chiesa, come la linfa della vite scorre liberamente nei tralci, è necessario che ogni credente conservi un forte legame con Gesù. Tale legame si chiama: “vita spirituale”. La nostra vita spirituale è essenziale alla chiesa. Senza la vita spirituale dei tralci, la chiesa è apparato senza anima, una istituzione mondana, che si fa notare non perché Cristo abita la sua vita, quella dei suoi pastori,del gregge, ma per la sua capacità contrattuale con il mondo, per il suo potere, la sua efficacia organizzativa. La bellezza e la genuinità della Chiesa non dipendono affatto da questo, ma dalla qualità della “vita spirituale” dei suoi figli, dal loro “rimanere in Cristo”. Ciò non è né naturale, né scontato. La linfa dell’amore di Dio Padre che scorre nelle nostre vene di figli e che Cristo ha abbondantemente immesso in noi fin dal giorno del Battesimo è, infatti, continuamente esposta alla intossicazione di sentimenti egoistici, ad abitudini poco evangeliche, ad atteggiamenti freddi e violenti, a pensieri malevoli, a spinte di invidia e di orgoglio. È qui che si deve potare, per rimanere in Gesù, e non una volta sola, perché sempre si ripresentano questi sentimenti, seppure in modi e con manifestazioni diverse. Non c’è età della vita che non esiga cambiamenti e correzioni, e quindi potature. Questi tagli, talora anche molto dolorosi, purificano la nostra vita e rendono sempre più vera la vita della Chiesa; la rendono “la sposa pronta per il suo sposo” (Ap. 21,2)


Don Roberto Zambolin


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