Vivere da persone sagge! - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...

Vivere da persone sagge!
32° Domenica del Tempo Ordinario anno A

(Sap. 6,12-16; sal .62; 1Ts.4,13-18; Mt. 25,1-13)


L'anno liturgico che si sta avviando verso il termine è per noi un invito a riflettere sulla conclusione della nostra vita terrena e sul "dopo che ci attende". Per questo le letture di oggi ci danno delle preziosi indicazioni per andare incontro al Signore.
La parabola delle vergini stolte e delle vergini sagge, ci esorta a vivere nella gioia, nella serenità, nella speranza, nell'ottimismo, ma anche nella consapevolezza che non siamo eterni, che siamo tutti pellegrini, gente in cammino verso una meta che non è terrena, verso Dio nostra speranza e pieno compimento di tutti i nostri desideri e della nostra sete di amore. La vita è come il tempo del fidanzamento: siamo in attesa delle nozze, in attesa che lo Sposo ci venga incontro per la festa. "Ecco lo Sposo, andategli incontro!" (Mt.25,6). Dunque, dicono le letture, non "tiriamo a campare", come gente stolta, ma vigiliamo per poterci presentare davanti a Dio con le mani piene di opere buone. Prima di essa l'Evangelista aveva già riportato altre due parabole sulla necessità di essere vigilanti: quella del padrone di casa, il quale "se sapesse quando viene il ladro veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa" (Mt.25,43-44), e l'altra del servitore che deve compiere il proprio dovere, anche se il padrone è assente e tarda a venire, perché "quando il servo non se lo aspetta e nell'ora che non sa", il padrone può arrivare e coglierlo in fallo. (Mt. 25,43-51) La parabola delle dieci vergini in attesa dello sposo è sullo stesso tono, anche se con sottolineature diverse. Anche qui lo sposo tarda a venire e poi arriva all'improvviso, a mezzanotte, quando meno ci si aspetterebbe. La conclusione è la stessa: "vegliate perché non sapete né il giorno, né l'ora".(Mt.25,13) Per comprendere appieno il significato della parabola, dobbiamo vederla sullo sfondo della primitiva comunità cristiana, come appare dalla lettera di S. Paolo ai Tessalonicesi, riferita nella seconda lettura. I primi cristiani credevano imminente la fine del mondo ed attendevano il ritorno di Gesù, giudice supremo. Vedendo però che non arrivava, avevano perso il primitivo entusiasmo, e nella loro vita erano subentrati il disimpegno, la pigrizia, la sonnolenza. L'evangelista, con la parabola, vuole risvegliare re il clima dell'attesa del ritorno del Signore, e quindi dell'impegno a prepararsi: "  vegliate  perché non sapete né il giorno, né l'ora ". La parabola si riferisce logicamen te alla venuta del Signore alla fine dei tempi, ma può valere anche per la venuta del  Signore alla fine della nostra  vita: è quello infatti il momento definitivo per ciascuno, chiamato a guardare indietro e a fare il bilancio dei suoi anni. Come in una sorta  di film, arrivati alla parola "fine", il Signore ci inviterà  a rivederlo e ci chiederà: cosa  te ne pare? Riuscito bene? Hai realizzato un capolavoro di vita o uno sgorbio? Per  chi o per che cosa hai vissuto la vita? Sei una persona riuscita o fallita? E anche Lui, ovviamente, dirà la sua...e il suo parere vale doppio, perché vale l'eternità! Il Signore senz'altro verrà, non sappiamo però né quando, né come, né dove, perciò dobbiamo  essere svegli, ed imitare le vergini sagge. E la saggezza è essere previdenti;  prevedere che lo Sposo può tardare, e prendere con sé il necessario; saper attendere,  ed essere pronti e preparati all'arrivo  che può accadere all'improvviso, anche nel  cuore della notte. Non basta essere invitati alle nozze, essere cioè dei battezzati, o aver risposto con entusiasmo all'invito, per un certo tempo. Bisogna saper superare la sfida  del tempo, rimanere fedeli sempre, anche quando il Signore sembra tardare,  e l'attesa è lunga. Non bisogna lasciarsi prendere dalla sonnolenza, cioè dal disim  pegno, dall'apatia e dalla tiepidezza  nella vita spirituale. Bisogna avere con sé, al  momento giusto, quando scocca l'ora, una buona scorta di opere di carità e di misericordia. Dobbiamo vivere con le lampade accese in mano, vale a dire  con la fede nel  Signore risorto che illumina il cammino e la meta della vita e ci è di grande sostegno, per non affliggerci eccessivamente per la perdita dei nostri cari, "come quelli  che non hanno  speranza".(1Ts.4,13) Nello stesso tempo questa fede ci aiuta ad essere  operosi sempre, con lo sguardo rivolto in alto, secondo l'insegnamento dei nostri  grandi Santi: "Lavorare come se non dovessimo morire  mai, lavorare come se ogni  giorno fosse l'ultimo della nostra vita., come se stessimo per presentarci al Signore ogni momento". In realtà, questo vale per tutti, credenti e non credenti perchè la vita è un bene del quale dovremmo rendere conto non solo a Dio, ma anche alla nostra  coscienza. Molti vivono una vita senza impegno, fermandosi alle emozioni e alle  sensazioni, ma senza motivazioni; molti  mancano di ideali, di un orientamento per  la propria vita; anzi, talora fanno professione di non averne e di non volerne alcuno.  Si preferisce talvolta fondare le proprie speranze sulle sabbie mobili dello  scetticismo, piuttosto che fondare la costruzione della vita individuale e sociale sulla roccia  della Parola di Cristo. Il vento del rispetto umano, le ondate dell'opinione pubblica e le suggestioni della moda culturale e pratica fanno di noi canne sbattute dal vento (Mt. 11,7). Essere 'pellegrini' su questa terra, non facendoci ingannare da ciò che di  falso vi è nel mondo, chiede tanta, ma tanta lucidità  di fede, sostenuti da una spe ranza che sa andare oltre i confini della esperienza e, il tutto, animati da un grande  amore verso Dio e i fratelli.


Don Roberto Zambolin


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