Vivere con Gesù per sempre - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...

Vivere con Gesù per sempre
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario anno C
(2Sam.5,1-3; sal.121; Col.1,12-20; Lc.23,35-43

Come il Signore ha pensato la nostra vita? Come un cammino verso di Lui, o meglio: “ Come un vivere in Lui” (“In Dio noi ci muoviamo, esistiamo e siamo” Atti 17,28); come un capolavoro da realizzare insieme con Lui. Ma noi, a volte, siamo come quel pittore che, non avendo bene appreso l’arte del dipingere, si diverte a scarabocchiare o imbrattare una tela, alla fine rendendola roba da buttare. Facile affermare quanto una giovane un giorno mi disse, con la disperazione negli occhi, specchio del buio della sua anima: “Io non ho chiesto di nascere e voi preti lo chiamate dono. Un dono che non capisco e rifiuto, perché mi fa solo impazzire, al punto che lo vorrei buttare, ma non ne ho il coraggio. È un peso troppo grande e non ho la forza di portarlo. Ma perché la vita deve essere un peso e non una gioia?”. Ma è proprio così? Sappiamo tutti, o dovremmo saperlo, che la vita non è un peso. È una difficile lotta, sì, ma comunque meravigliosa e degna di essere vissuta. Il punto è: come viviamo, con chi viviamo la nostra vita, per che cosa la viviamo. Chi ci ha fatto questo dono meraviglioso della vita è il Padre. E  Dio sa molto bene come, da soli, vivere sia camminare in un pericoloso buio, quando invece si ha bisogno di una intensa luce. Per questo ci ha donato Suo Figlio, Gesù, che venne tra noi, come uno di noi, e da allora si è fatto così vicino a noi, da essere ‘l’immensa Luce’ di cui abbiamo bisogno. Per entrare nella Sua Luce la Chiesa ci propone l’anno liturgico, ossia interpreta il tempo, ritmandolo sulla vita di Gesù, tra di noi. Inizia con l’attesa di Dio, chiamato tempo di Avvento; quindi la nascita del Figlio, cioè il Natale; il tempo della crescita, nel silenzio di Nazareth, sotto la guida di Maria e Giuseppe; la Sua missione tra di noi per tre anni; il compimento del Suo amore nella crocifissione, resurrezione e ascensione, per far posto allo Spirito Santo nella Pentecoste. La Chiesa chiude l’anno con una solennità, per ricordarci che Dio fin dall’origine del mondo, ci ha pensato tutti in riferimento a Cristo, per partecipare anche noi della sua gloria e della sua vita, per sempre. I Santi, da quelli più grandi a quelli feriali, non solo capirono questo ‘stare nel Cuore di Dio’, assieme al figlio suo Gesù Cristo, ma ne facevano il senso meraviglioso dell’esistenza, fino a dire come S. Paolo: ‘Per me vivere è Cristo’.(Fil.1,21) Purtroppo noi, spesso, siamo come ‘malati di miopia spirituale’, quella generata dalla superbia o dal vuoto di fede: una miopia che fa della vita un vivere senza paternità, come orfani che non sanno chi li ha generati e a chi interessi la loro vita. Ci riempiamo gli occhi di illusorio stupore, verso realtà che ‘brillano’ di luce falsa: la ricchezza, la bellezza esteriore, il piacere, la posizione sociale, il potere, che nulla hanno a che fare con l’amore e la gioia. L’amore nasce nell’umiltà, si manifesta nell’umiltà, non cerca se stesso, ma fa posto alla persona amata  a chi si dona con fedeltà. Possiamo dunque capire perché l’evangelista Luca esalta ‘la regalità di Cristo’, proprio nel momento più drammatico della sua vita, quello in cui Gesù appare nella peggiore condizione, in cui un uomo possa essere ridotto... ma che diventa trionfo ineguagliabile, quando questo ‘nulla’ è stato accettato come supremo atto di amore. Il popolo trovava assurdo tutto ciò: dov’era la sua forza? La sua potenza?, forse, si chiedevano. Davvero la regalità di Gesù ha nulla da condividere con il concetto di regalità, che abbiamo noi uomini. Noi siamo abituati a chiamare ‘grandi’ quanti nella politica, nell’economia, nella vita sociale, sanno imporsi con ‘visibilità’, che spesso sa di voglia di affermarsi, di stupire. Basta assistere alle folle che ‘corrono per vedere, sentire’ qualche divo o personaggio...Ma spesso questa ‘potenza’ umana è tutto fuorché amore. Un potente è difficile anche solo da accostare! Mentre a portata di mano, pronta ad ascoltarci, a mettersi nei nostri panni, a rivestirsi delle nostre tristezze, a ridarci speranza, è la persona ‘umile’, che per la sua bontà invita ad aprire il cuore. Un grande cristiano disse: “La superbia e il potere, tante volte, usano i poveri per farsi strada. Solo l’amore, facendosi povero, fa strada ai poveri”. Ed è quello che ha fatto Gesù, ‘il Re dei re’: l’umiltà che si annulla in croce, per darci ‘Tutto’. Quell’inconfessato scontento di tanti, che cercano chi possa capirli o chi seguire, come unico amore, la dice lunga sul bisogno di incontrare Cristo, nostro Re. A termine  dell’anno liturgico facciamo nostre queste parole che la Chiesa esprime nel canto: “Gesù, dolce Memoria che dai la vera gioia del cuore ma più del miele e di ogni cosa dolce è la tua Presenza. Niente si canta di più soave, nulla si ode di più lieto, nulla si pensa di più dolce che Gesù, Figlio di Dio. Gesù, Speranza per chi si converte, quale misericordia per chi ti invoca! Quale bontà per chi ti cerca, che sarai per chi ti trova? Non vi è lingua capace di narrare, né parola in grado di esprimere. Chi ne fa esperienza può credere cosa sia amare Gesù. Gesù, sii la nostra Guida, tu che sei il Premio che ci attende. Sia in Te la nostra gloria. Sempre!”.


Don Roberto Zambolin


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