Una partenza carica di frutti - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...

UNA PARTENZA CARICA DI FRUTTI
ASCENSIONE DEL SIGNORE
(Atti 1,1-11; salmo 46;Ebrei 9,24-28;10,19-23; Lc. 24,46-53)

La solennità dell’Ascensione di Cristo al cielo, viene presentata da Luca come un commiato accompagnato da una certa sofferenza e da una certa paura dei discepoli,(Lc.24,38) ma anche un invito a guardare avanti, a non bloccarsi sul nostalgico ricordo di Cristo, ma ad avere il coraggio della testimonianza e della predicazione. Dopo la morte e la Risurrezione di Cristo, la fede degli apostoli era ancora una “fede difficile”: dubbiosi sul futuro del loro destino, impauriti da eventuali persecuzioni per essere stati assieme al Maestro, un po’ sbandati come comunità, si erano rifugiati nel chiuso delle loro case in attesa di tempi migliori. Era normale che prendesse piede la loro umanità e che i loro ricordi avessero anche prodotto in loro scoraggiamento e delusione. Ma la forza della preghiera e della comunione (Atti 1,14) ha permesso di coltivare l'attesa, la speranza del dono dello Spirito che avrebbe svelato loro ogni cosa.(Gv.16,13) E così fu. Noi già viviamo i tempi dello Spirito: quei tempi in cui il Signore risorto fa sentire nella storia di ognuno di noi e del mondo la sua presenza salvatrice se ci disponiamo ad accoglierLo nella comunione della preghiera e nell’incontro con la Parola; nel nostro oggi, nella Chiesa in particolare, ci viene dato una “spirito di sapienza e di rivelazione perché possano essere illuminati gli occhi della nostra mente per sapere a quale speranza siamo stati chiamati”(Ef.1,17-18), per capire che l’Ascensione è di fatto “ un commiato esaltante”. Essa, innanzitutto rappresenta per Cristo il compimento della volontà del Padre. Pienamente obbediente al progetto di Dio e totalmente sottomesso a Lui nell’amore, tale obbedienza è diventata feconda per ognuno di noi. In secondo luogo è commiato esaltante, perché se Cristo è vivo presso il Padre e continua ad intercedere per noi (Rm.8,34), allora noi possiamo essere pieni di buona speranza. Possiamo contare su qualcuno che “vive veramente” perché vive in Dio, uno la cui vita non si corrompe, non marcisce, non passa..(1Tes.4,13) L’Ascensione ce lo conferma e ci dà la sicura speranza che dove è Lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria (prefazio II della Ascensione). L’ascensione ci richiama la necessità della speranza, come virtù umana carica di certezza…se diventa attesa e discernimento dello Spirito del Signore, che ci accompagna sempre e ci offre la capacità e il coraggio di vedere oltre, con coraggio, senza paura, senza sgomento. Questo tema della speranza in Cristo morto e risorto è stata al centro del recente convegno di Verona, illuminando e plasmando tutti gli ambiti della vita personale e sociale. Lo sperare cristiano non coincide con le speranze umane, segno spesso di un desiderio che il destino non dica male per noi….ma la speranza cristiana è sempre unita alla fede e alla carità. La speranza è fondata in Cristo morto e risorto: Lui è la nostra speranza, in cielo e in terra, in morte e in vita (Rm.14,8); grazie a questa speranza che va nutrita sempre di più alla fonte della Parola di Dio, nulla e nessuno ci potrà separare da Cristo (Rm.8,35-39); poi tale speranza diventa il motore della nostra carità, del nostro spenderci per gli altri, del nostro dare la vita. La speranza che viene dal mistero della croce è, infatti, feconda di trasformazione, di purificazione, di donazione, di santità; con il dono dello Spirito, si può arrivare anche al martirio, all’immolazione di sé, ardenti dal desiderio di essere in tutto conformi al Cristo morto e risorto (Fil.3,10). Eppure: quanta sfiducia ancora in noi, nella nostra vita, nelle nostre comunità. In quante cose abbiamo perso la speranza! In quante persone non crediamo più e dalle quali non speriamo più nulla! Tutta la Liturgia di oggi è percorsa dal ritmo della speranza: siamo chiamati a guardare in alto, a vivere nella tensione verso il regno di Dio, perché il tempo è breve e non possiamo fondarci sulla speranza delle cose che passano.(1Cor.7,29-30) Non dobbiamo però “rifugiarci” nella speranza, ma, senza fughe, senza evasioni, senza spiritualismo od intimismo, dobbiamo diventare cristiani missionari pieni di speranza, vale a dire con grande apertura e disponibilità all’annuncio del Vangelo, con grande simpatia verso le persone, coltivando un sereno ottimismo che tutto il bene che nel nome di Cristo abbiamo seminato non va perduto. Il nostro atteggiamento dovrà essere l’atteggiamento della persona salvata da Cristo: perciò umile, consapevole delle proprie debolezze e della infinita misericordia di Dio, che sola può mantenere viva la speranza in noi e la fedeltà dell’amore; una speranza che nella Eucaristia dà contenuto esistenziale all’invito del sacerdote: “ In alto i nostri cuori”, perché possiamo rispondere nella verità: “ Sono rivolti al Signore”.


Don Roberto Zambolin


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