Fiumi d'acqua viva...
Un pianto salutare
3° Domenica del Tempo Ordinario anno C
(Ne8,2-4a.5-6.8-10; sal.18; 1Cor.12,12-30; Lc.1,1-4; 4,14-21)
3° Domenica del Tempo Ordinario anno C
(Ne8,2-4a.5-6.8-10; sal.18; 1Cor.12,12-30; Lc.1,1-4; 4,14-21)
Dopo 50 anni di esilio a Babilonia, il popolo di Israele torna nella sua terra e deve ricostruire tutto: il Tempio, le mura buttate giù, il morale della gente; deve rifarsi della umiliazione subita. Gerusalemme da città grande e potente, era diventata ormai una cittadina di provincia, di poca o nessuna importanza. Ma soprattutto Israele deve ricostruire la sua fede, deve ricuperare la fiducia nel “Dio dei suoi padri”. Dopo tante promesse di fedeltà, Dio si era dimenticato del suo popolo? Il sacerdote Esdra e il governatore giudaico Neemia, avevano intuito l’importanza della “Torah”, della Parola. Tutto era andato perduto, ma la Parola no! Attorno a questa Parola convocano il popolo che, raccolto in piazza, ascolta la lettura pubblica e solenne del Libro della Legge. Esdra lo apre alla presenza di tutti e, da un posto elevato, incomincia a leggere dinanzi agli uomini, alle donne, ai bambini capaci di intendere. La lettura inizia allo spuntare della luce e si protrae fino a mezzogiorno. Tutti tendono l'orecchio, protesi all'ascolto.Siamo di fronte ad una vera e propria Liturgia della Parola. Il popolo si alza in piedi, solleva le mani, si inginocchia in adorazione, risponde dichiarando la sua adesione, il suo assenso, con una formula che diventerà classica e anche noi la ripetiamo tuttora nelle nostre assemblee: Amen! Amen! (= E' così...) E’ quanto ci viene narrato nella prima lettura di questa domenica. Siamo nel 538 a.C., quando un editto di Ciro, aveva reso libero il popolo di Israele. Il primo effetto di questo ascolto è il pianto. Il pianto esprime sentimenti profondi: di gioia, di dolore, di rabbia, di liberazione da un peso che da troppo tempo si porta nel cuore, di commozione. Oppure la festa per aver ritrovato finalmente qualche cosa persa da tempo. Una ferita risanata. Il popolo piange per questo: aveva finalmente ritrovato se stesso e capito la propria tragedia. Noi, purtroppi ci abituiamo a tutto, anche alle brutture della nostra vita, imparando a convivere con la noia, il non senso e a volte la lenta distruzione del proprio essere.Se ancora non ho mai pianto ascoltando una spiegazione della Parola così come piangeva quel popolo, significa che ancora debbo incontrarmi con Essa; significa che per me ascoltare la Parola è ascoltare qualche cosa che è estraneo alla mia vita. Che non ho ritrovato me stessa/o in quella Parola. L’incontro con la Parola mi farà piangere, commuoverà il mio cuore facendolo sciogliere nelle lacrime, quando capirò che la storia di Adamo che si nasconde e fugge perché ha peccato, non è solo la storia di Adamo, ma è la mia storia…, che la storia di Abramo che viene chiamato da Dio a lasciare tutto fidandosi della sua promessa, non è solo la storia di Abramo, ma è anche la mia storia…, che la storia di Mosè chiamato a libertà attraverso il cammino nel deserto, è anche la mia storia…, che la storia di Davide che vince Golia, ma che è squallidamente vinto dalle sue passioni, non è solo la storia di Davide, ma è anche la mia storia…, che la storia del suo pentimento è la storia anche del mio pentimento…, quando capisco che sono io quel lebbroso che Gesù guarisce…, che sono io quel cieco che chiede di vedere…, che sono io quel figlio che ha sperperato tutto…, che sono io quel figlio geloso che non sopporta il fratello…, che sono io quell’adultera che Lui non condannò…, che sono io quella peccatrice che Gli bagnò i piedi di lacrime…, che sono io quel Lazzaro che deve uscire dalla sua tomba…, che sono io quel Nicodemo che non ha più paura di farsi vedere cristiano…, che sono io quel Pietro che prima Lo rinnega e dopo Gli dice che L’ama…, che sono ancora io quella donna che Lo cerca morto mentre Lui era risorto…, che sono io quel Paolo che, pieno di presunzione, deve cadere dal suo cavallo… Quanta gente che incontro che evade da se stessa cercando di placare la sua innegabile sete di felicità in cose o obiettivi che non possono essere il Salvatore, ossia Colui che toglie la sete del cuore. Ci si trova alle volte con gli occhi pieni di lacrime, che la dicono lunga sulla nostra insoddisfazione, come camminassimo nel nulla, quando vorremmo vedere i passi della nostra vita rivolti verso la gioia, che solo Dio dà in pienezza.Verrebbe la voglia, tante volte, di gettare le braccia al collo di tanti, ma tanti, che attendono chi sappia dire una parola di vita o dare un abbraccio di speranza. E Gesù si propone, lo vogliamo o no, come l’Unico che ha braccia grandi e pronte ad accogliere tutti, senza alcuna distinzione, anche i peccatori, per far conoscere la dolcezza e la misericordia del Cielo. Ed invece, a volte, abbiamo quasi paura di quelle braccia tese, di quel Cuore che si offre come una grande, immensa casa, quella di Dio. Ed è davvero strana questa paura di affidarci alla Parola del Salvatore, mentre senza prudenza e senza senso critico ci si affida alle false promesse dei tanti fasulli e ingannevoli profeti del nostro tempo.
Don Roberto Zambolin