Toccare il Cristo risorto
2° Domenica di Pasqua anno B
(Atti 4,32-35; sal. 117;1Gv.5,1-6; Gv. 20,19-31)
Il brano evangelico descrive, in modo sintetico e chiaro, lo stato d'animo dei discepoli di Gesù nei giorni immediatamente successivi a quelli della sua morte e risurrezione. La piccola comunità è impaurita. Chiusi dentro il Cenacolo a porte ben sbarrate all'interno "per paura dei Giudei",(Gv.20,19) ora toccava a loro fare la fine del aestro. Prima il Pastore, poi le pecore. Commisero un errore enorme: mettere il senso della loro vita e, dunque la loro fiducia, in quel Galileo crocifisso, sepolto.
Chiunque avesse bussato alla porta del Cenacolo, poteva essere un sicario mandato dal Sinedrio. Potete pensare l'angoscia, il terrore di quelle persone! Lui, il loro Maestro e Signore, ormai, non c'era più. Era giorno feriale, il lunedì degli Ebrei, dopo la loro Pasqua, nella quale tra i tanti agnelli avevano sacrificato anche il vero Agnello.. Insomma la morte del Signore ha gettato tra le braccia dello sgomento e della profonda delusione questa primissima comunità cristiana; la risurrezione di Cristo l'ha messa di fronte alla sua inconsistenza e contradditto rietà nella fede: in chi hanno creduto fino adesso? Le porte sbarrate del Cenacolo, infatti, contrastano in modo stridente con la tomba vuota e spalancata. La profonda gioia provata da Pietro, da Giovanni, da Maria Maddalena è subito svanita, soffocata dalla incapacità di credere veramente nella risurrezione. La si tuazione della prima comunità di Gerusalemme è molto simile a quella di oggi delle nostre comunità. Come allora, gli attuali cristiani si ritrovano insieme per pregare o per soddisfare al culto, ma si arroccano su se stessi straniti ed impauri ti di fronte ad una società che percepiscono nemica ed aggressiva nei loro con fronti. Ma è proprio un tale impatto che disarma la loro paura e li rende finalmente "credenti" Gesù è costretto ad irrompere nelle comunità con fare diretto ed immediato. Ciò significa che la verità del Cristo risorto si pone davanti a ciascuna/o di noi come la realtà decisiva, non eludibile, sulla quale ci giochiamo tutta la nostra fede. Gesù non è stato solo un bravo Maestro, un saggio, un uomo carismatico capace di attirare a sé tanta gente, un santo. No, Gesù è il vivente, il risorto dai morti, Colui che ha vinto la morte, per sempre. La morte non ha più alcun potere su di Lui. Questo è Cristo. E' questa la nostra fede? Quando noi diciamo di credere in Gesù Cristo, diciamo di credere in Colui che è morto e risorto, oppure in chi altro? Senza tanti preamboli, come a Tommaso, il Risorto si rivolge direttamente ad ognuno di noi usando cinque imperativi: metti il tuo dito; guarda le mie mani; metti la tua mano; ponila nel mio costato; non essere incredulo, ma credente.(Gv.20,27) La bellissima professione di fede di Tommaso:"Mio Signore e mio Dio"Gv.20,28) non è frutto di dicerie riportate, ma di una constatazione fisica diretta. Gesù non invita diplomaticamente ad osservare il suo corpo risorto, ordina in modo imperativo di esplorarlo, di verificare di persona per non lasciare spazio al minimo dubbio o perplessità "Sono proprio io. Palpatemi e vedete... e mostra le mani e i piedi, dove sono i segni della crocifissione. Non è un fantasma. Un fantasma è l'apparizione di un morto. Invece Gesù è vivo. E cosa fanno i vivi? Mangiano! E allora, dice Luca, Gesù chiede del pesce e lo mangia.(Lc.24,36-43) Così non ci sono più dubbi! La sua risurrezione non deve essere oggetto di elucubrazione, fantasticherie o dimostrazioni. Deve essere esperimentata, toccata, storicizzata e vissuta sulla propria pelle. Il Risorto non è venuto per invitare al perdono, ma per vivere il perdono; non si è incarnato per condannare o descrivere le ingiustizie, ma per eliminarle; non ha attraversato la nostra storia per bandire nuove crociate o per aizzare le folle alla ribellione, ma per liberarle attraverso il suo personale martirio. Toccare Gesù, ai tempi di Tommaso, fisicamente ed oggi per mezzo della concretezza del pane e del vino consacrati su ogni altare del mondo, non ci può lasciare indifferenti, soprattutto non può lasciare indifferente la nostra esistenza e le nostre relazioni. Nella prima comunità dei credenti, l'esperienza della risurrezione l'ha portata a costruire una convivenza, come ci ricordano gli Atti, fondata su una concreta comunione capace di eliminare ogni genere di bisogno e di dipendenza. La profonda pace e gioia che la caratterizza non è il frutto di una arcana magia, ma la logica conseguenza della responsabile decisione di vivere "insieme" l'amore di Dio, osservando i comandamenti, riuscendo così a vincere la cattiveria del mondo, come ci dice la seconda lettura tratta dalla prima lettera di Giovanni. La nostra situazione esisistenziale, ha molte analogie con quella dei primi cristiani. Ingiustizia e disuguaglianze dilaganti, immoralità diffusa e subdola, poteri politici e religiosi aggressivi e corrotti, famiglie sgretolate dall'egoismo, moralismo verboso ed inutile, culto ampolloso e senz'anima, tradizionalismo polveroso e stanco. E tutto questo che va mutato, trasformato, dopo aver fatto esperienza del Cristo Risorto. Di fronte alla tomba vuota, dobbiamo lasciarci guidare dalla sua luce per vincere il mondo, per dare vita a nuove realtà di esistenza in cui la fraterna solidarietà, l'amore di Dio ed il vivere i comandamenti ci permettano di realizzare, giorno dopo giorno, comunità credibili e veramente risorte capaci realizzare relazioni di vera pace e di autentica giustizia.