5. HO SETE (GV 19,28)
Chi ha sete è sempre un bisognoso, è sempre un povero, è sempre una creatura, è sempre l'uomo e non Dio. Nella sete fisica e spirituale si esprime il desiderio, la nostalgia dì qualcosa e soprattutto di qualcuno che manca e che può appagare il cuore. Un portavoce autorevole della nostra condizione umana, un salmista, ha scritto una preghiera bellissima, che poi una schiera innumerevole di oranti ha ripetuto: «L'anima mia ha sete del Dio vivente quando verrò e vedrò il suo volto?» (Sai 42,3).Bene allora si potrebbe caratterizzare la nostra vita come sete ardente e desiderio di Dio. Chi, rientrando in se stesso, non ha provato questa sete, questa nostalgia, chi, avvertendone la mancanza, non ha cercato il volto di Dio come e più di cerva assetata? Chi nell'arsura non ha sognato la sorgente, chi con le labbra asciutte e il cuore a secco non ha immaginato un tuffo in Dio e nell'acqua viva? Ma l'acqua, la sorgente e principalmente Dio che fanno? Stanno ad aspettare? Sembra dì no. Anzi, Dio sicuramente no. Oggi, infatti, questa sete, questo grido, viene dal crocifisso, viene dal Figlio di Dio, viene direttamente dalla bocca di Dio che brucia di arsura. E non è la prima volta. C'è stato un altro mezzogiorno di fuoco memorabile, in cui Gesù stanco e assetato, al pozzo di Giacobbe, sfidando ogni conformismo religioso e culturale, ha chiesto da bere ad una donna ed in più samaritana. Ma quell'assetato chiede per dare, ha sete per dissetare, si fa povero perché è ricco, è misero perché è misericordioso, non ha nulla perché ha tutto, chiede dell'acqua perché è la sorgente. Che bella invenzione farsi povero, l'ultimo di tutti per arricchire gli esclusi di turno. Al pozzo di Giacobbe sposò la sete della samaritana e quella poveretta che aveva il secchio per l'acqua, ma non la sorgente, ricevette fiumi di acqua viva che spengono per davvero e per sempre la sete. Ora sta per fare lo stesso o forse ancora una volta si sta superando. «Ho sete», grida. E lo sta gridando con forza ai quattro venti dall'alto della croce. Ma non vuole essere equivocato, non vuole un po' di aceto per stordire il dolore. Il calice dei Padre suo lo vuole bere fino all'ultima goccia e lucidamente. Sta invece rispondendo a quanti, coscienti o no, hanno e non hanno coltivato la sete, il desiderio, la nostalgia di Dio, a quanti hanno gridato a lui lungo il corso della loro vita e della storia e credono di non avere avuto una risposta soddisfacente. Se, infatti, noi uomini abbiamo avuto sete di Dio e lo abbiamo cercato ancora di più egli ne ha avuto di noi e ci ha cercato. Ed ora vuole che, al riguardo, vinciamo ogni dubbio e perplessità, perché ce lo sta per dire con il linguaggio dell'amore e della morte, dal momento che non c'è amore più grande che dare la vita per coloro che si amano. Esattamente quello che egli sta facendo per tutti noi e soprattutto per quelli che ancora non credono alla nostalgia, alla sete che Dio ha di loro. Allora c'è un amore ancora più grande! Dare la vita per chi ti crocifigge. Su quella spugna Dio si aspetta che noi sappiamo mettere una goccia d'acqua e di amore che quel venerdì santo non siamo stati capaci di dargli. E di labbra e di cuori riarsi che se lo aspettano ce ne sono veramente tanti. Perché quella goccia non la chiede per sé, ma per quanti rischiano, ancora oggi, di morire soli e dimenticati.