SERVI E AGNELLI
2° Domenica del Tempo Ordinario
(Is.49,3.5-6; Sal.39;1Cor.1,1-3;Gv.1,29-34)
Nelle letture di questa domenica, vi sono due parole che meglio definiscono la vita e la missione di Gesù: Servo e Agnello. Il Signore mi ha detto: tu sei mio servo…” (Is.49,3) Inizialmente questa parola è rivolta ad Israele perché, avendo sperimentato durante l’esilio l’amore fedele, traboccante, incontenibile di Dio potesse comunicarlo a tutte le nazioni, diventando così luce, indicando a tutti i popoli in quale direzione cercare per trovare la salvezza. (Is.49,6). Così dobbiamo vivere anche noi cristiani: amati da Dio fin dall’eternità, segnati da Dio con il dono della fede, fin dal giorno del Battesimo, siamo chiamati a comunicare amore, a dare solo amore, a servire l’Amore con l’amore. Quando Dio prende un uomo per sé, non lo allontana mai dagli altri, come tante volte succede per le coppie gelose o per le amicizie troppo invadenti. Entrare in rapporto con il Signore, non significa mai estraniazione da se stessi o dalla vita, ma significa invece più servizio, cioè più vita. Anzi: coloro che vengono scelti dal Signore, vengono “consegnati” agli altri. Tutta la storia della salvezza testimonia che la scelta di un singolo da parte di Dio è sempre e comunque una scelta per la comunità: Abramo, Mosè, i profeti, Maria, gli apostoli, Paolo stesso: sono persone scelte da Dio per essere donate. Essere cristiani significa, perciò, essere servi.. Certo essere servi non è sempre gratificante, non lo è stato per nessun personaggio biblico né per Gesù Cristo. Il servo mette in conto lo scoraggiamento, la delusione, il fallimento, la convivenza, non sempre felice e serena, con i propri limiti e i propri peccati. A volte si può persino sperimentare un senso di delusione profonda. Ma chi me lo fa fare vivere da cristiano? Chi mi ascolta? Che valore ha la mia testimonianza in un mondo che è sintonizzato su altre lunghezze d’onda? La forza del cristiano - servo non dipende dai suoi successi o dal consenso che riesce a riscuotere nell’ambiente in cui vive, ma da una certezza: che la sua speranza è solo in Dio, nella fecondità dell’amore di Dio che lo ha chiamato a servire. Dio non è mai insensibile, poi, alle grida dei suoi servi: nel buio dà luce, nell’angoscia sicurezza. Il servo per poter essere tale non potrà non sperimentare anche di essere agnello. A volte, infatti, l’amore per gli altri, porta davvero alla immolazione di sé: penso a cosa comporta accettare con amore una persona scontrosa, brontolona, inconcludente, insicura, scrupolosa; che sacrificio richiede lo stare in casa con una persona inferma da anni, senza poter mai contare sull’aiuto generoso di qualcuno, ma solo di chi è pagato per compiere un certo servizio; penso alla pazienza e alla sofferenza interiore di chi si trova a vivere con una persona depressa o con chi accusa patologie gravi a livello fisico e psichico. Qui l’amore, che si fa servizio, arriva a volte fino alla immolazione di sé; diventa vera e propria eucaristia, dono, offerta della propria esistenza, consumazione delle proprie energie per la sorella e il fratello. Un tale amore è umanamente incomprensibile, perché la vera ragione di questo caricarsi dei pesi degli altri non sta in un sentimento di compassione puramente umano, ma nella grazia dello Spirito Santo che è su di noi e ci dà la forza. Lo Spirito del Signore fa sì che viviamo tutto ciò in unione a Cristo, che ha preso sopra di sé le sofferenze del mondo e ha dato la vita per tutti. Così la nostra vita diventa progressivamente vita cristocentrica e cristiforme. A questo punto, per testimoniare Gesù, non vi è più bisogno di indicarLo con le parole, perché traspare dal nostro donarsi e immolarsi; anzi, il silenzio stesso, pieno di carità, risulta essere molto eloquente. E se con noi c’è Cristo, possiamo sperimentare la gioia del servire anche nella immolazione Chi ha fatto una esperienza di servizio alla piccola casa della divina Provvidenza a Torino, all’Istituto Cottolengo, si è reso conto quanta serenità e pace interiore diano l’essere servi e agnelli per i più poveri. Siamo così chiamati ad offrire, sull’esempio di Gesù, una immagine scandalosa di Dio: quella di un Dio mansueto, che non si abbatte e non si impone. La figura di un Dio povero e mansueto, desta scandalo perché, oggi come ieri, i mansueti non sono considerati. Oggi, per il mondo, conta l’essere combattivi e competitivi: questa sembra essere garanzia di successo e di progresso. Ma non è,però, garanzia di salvezza; spesso non è nemmeno garanzia di equilibrio umano e serenità psicologica. Sovente è causa di conflitti, di guerre e di ingiustizie. Ma “l’uomo nella prosperità non comprende è come gli animali che periscono”(Salmo 49,13) La sua parte animale, prevale spesso su quella spirituale. “Animalis homo, non percipit quae sunt Deo ( La parte animalesca dell’uomo non riesce a capire, a intuire le cose di Dio, sono follia per lui!) L’uomo che diventa servo e agnello non accumula per sé, con il rischio poi di perdere ogni cosa, ma possiede la sapienza del cuore: lega la propria vita non ai beni materiali, dei quali pure ha bisogno, ma, con un amore appassionato, la dona a Dio e ai fratelli. Così prepara la sua immortalità.