SENSO DI COLPA E SENSO DEL PECCATO
quinta domenica di quaresima
(Is.43,16-21; sal.125; Fil.3,8-14; Gv.8,1-11)
Il tema centrale di questa quinta domenica di quaresima è l’incontro della persona peccatrice (donna o uomo che sia) con Cristo il quale, senza banalizzare le colpe e senza minimizzare le responsabilità di ciascuna/o, sa accogliere tutti con tenerezza e misericordia risanante, restituendo la fiducia in noi stessi e nella voglia di vivere, quando queste sembrano irrimediabilmente perdute. In particolare, nel brano evangelico di oggi, possiamo cogliere, nel diverso atteggiamento di Cristo da una parte, e degli scribi e farisei dall’altra, di fronte all’adultera, la distinzione fra senso di colpa, e senso del peccato. Il senso di colpa a causa delle nostre cadute e, più in generale, di fronte agli insuccessi della vita, è dovuto a molti fattori: a volte ad un eccessivo desiderio di essere perfetti, credendoci impenetrabili ad ogni tentazione e provocazione; oppure può essere alimentato da nobili ideali perseguiti con tenacia e con grande energia volitiva, ma senza la coscienza della necessaria gradualità, e l’accoglienza del lavoro paziente della grazia in noi, accompagnato da una vera conoscenza di se stessi e dalla umile accettazione di ciò che noi siamo. Non raramente il senso di colpa, è causato anche dal giudizio duro e tagliente, intransigente e senza misericordia di chi invece, a motivo del servizio chiamato a rendere alle persone ( genitori, insegnanti, sacerdoti, educatori in genere…) dovrebbe accogliere più che respingere, capire più che giudicare, rialzarci più che abbatterci. Tali, infatti, sono stati gli scribi e i farisei nei confronti di quella donna sorpresa in flagrante adulterio. (Lc.8,4-6) Nel Vangelo, costoro, vengono presentati come le persone la cui ipocrisia è direttamente proporzionale alla conoscenza della Legge e alla pratica del culto; incapaci di riconoscere persino la positività e la novità di Cristo, sono sempre pronti a giudicare e a guardare i peccati degli altri, mai inclini alla misericordia e al perdono, mentre a se stessi concedono ogni cosa… Gesù li chiamerà “razza di vipere”, (Mt.12,34) e “sepolcri imbiancati”, (Mt.23,27); persone che “Legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”(Mt.23,4). Bisogna stare alla larga da certi cristiani così zelanti, così attaccati alla legge di Dio e a quelle della Chiesa, che hanno sempre da ridire su tutto e su tutti, pronti a far notare, senza compassione e non raramente con poca delicatezza e discrezione, senza misericordia, gli errori degli altri, incapaci di scorgere il positivo anche in chi cade: in genere sono proprio costoro a farti nascere i sensi di colpa. Il senso di colpa uccide la speranza, crea una immagine negativa di sé stessi, alimenta lo scoraggiamento, radica ancora di più il peccato perché te lo fa percepire come inevitabile e perché ti cogli come disarmato di fronte ad esso. Dio, ti dice il senso di colpa, ti propone ideali belli, buoni e nobili, per la piena dignità di te stesso, e tu non sei capace di raggiungerli? Ma che donna o uomo sei? Il senso di colpa, pertanto, dà una falsa immagine di Dio, di te stesso, e del rapporto tra Dio e le sue creature. Invece il senso del peccato è cogliere, nella sincerità e nella verità della propria esistenza, la distanza tra il Suo amore e il nostro, dovuto certamente alle incoerenze, a cadute più o meno gravi, alla nostra immaturità. Ma, a differenza del senso di colpa, tutto questo viene vissuto nella consapevolezza che appartiene alla creatura la debolezza e la fragilità, il limite e l’imperfezione, il cadere ed il rialzarsi, il camminare nel dubbio e non ancora nella visione.(2Cor.5,7) Dio non impone alla nostra vita i ritmi della sua perfezione, ma rispetta quelli della nostra imperfezione e ci sorregge e ci illumina con la luce della sua Parola e il dono, sempre rinnovato, della sua Misericordia. E’ proprio questo instancabile e gratuito Amore di Dio che mette in luce la serietà e la gravità del peccato; non è ciò che il mio “io”, per il suo orgoglio o la sua sete di perfezione, non riesce a ottenere con le sue forze, oppure ciò che gli altri si aspettano da me e che io non posso dare. Il senso del peccato mi spinge a domandarmi che cosa posso fare, giorno dopo giorno, anno dopo anno, per rispondere sempre meglio all’Amore che Dio ci ha rivelato in Cristo e che mi copre come di un manto. Per perdonarmi, non aspetta né che io glielo chieda, né che io lo meriti, perché il suo Amore “anticipa” tutto questo. L’Amore che egli ci dona, non ci umilia, perché non ce lo fa pesare; né si scandalizza della nostra miseria. Per questo la sua misericordia risana, risolleva, ci rimette in cammino, e il peccato perdonato diventa una preziosa esperienza di vita. Infatti in virtù di questo Amore che non ha pari, anche noi siamo chiamati a perdonare, soprattutto chi non ce la fa, perché non possiamo dimenticare che, pur caduti tante volte, Dio non ci ha mai lapidati!