Seconda lettera a Timoteo
Anche questo scritto, come il precedente indirizzato al discepolo di Paolo, Timoteo, è segnato dal vivo rapporto che intercorre tra l'apostolo e il suo collaboratore. Anzi, la lettera acquista talora la tonalità di un vero e proprio testamento che Paolo, in carcere a Roma e alla vigilia del martirio, destina a chi gli è stato vicino nei giorni della prova e dell'impegno missionario, descritti con le immagini della battaglia e della corsa (si veda in particolare il brano presente in 4,6-8).
In questa ideale consegna estrema hanno rilievo due componenti. Da un lato, emerge il profilo del vero pastore, che ha il suo modello proprio in Paolo (1, 1 -2,13 e 3,10-4,5). Dall'altro lato, appare con durezza la denunzia contro i pericoli della degenerazione della fede e della vita cristiana all'interno della comunità (2,14~3,9): è una pagina molto aspra, che riflette le difficoltà ecclesiali che già affioravano e interpellavano i credenti delle stesse origini cristiane.
Come nelle altre lettere pastorali, anche in questo secondo scritto a Timoteo molti studiosi hanno intravisto il linguaggio e l'opera di un discepolo di Paolo che celebra la grandezza, evoca gli ultimi moniti e la fine del suo maestro. Rimane, comunque, indiscussa l'ispirazione divina della lettera che, tra l'altro, ci offre, proprio sul tema delle sacre Scritture ispirate da Dio, una considerazione molto importante, spesso usata nella storia della tradizione e della teologia cristiana come autorevole testo di riferimento (3,14-17).
Non mancano, dunque, accanto alle note pastorali molto concrete riguardanti la vita della Chiesa, anche riflessioni di grande intensità, soprattutto sul tema della salvezza operata da Cristo nel mistero pasquale: ad essa siamo tutti chiamati attraverso una fede fruttuosa e un costante impegno morale (1,9-10; 2,8-10).