Riconosci, uomo, la tua dignità - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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RICONOSCI, UOMO, LA TUA DIGNITA'
29° Domenica del Tempo Ordinario
(Is. 45,1.4-6; sal.95;1Tess.1,1-5b;Mt.22,15-21)

Siamo ancora in un contesto polemico, in cui Gesù, a volte, si presenta molto duro con gli scribi e i farisei, con i sacerdoti del tempio e gli anziani del popolo. Egli infatti, non sopporta ipocrisie, mezze misure, doppie facce. Dirà:“Il vostro parlare sia si si, no no, il di più viene dal maligno”. (Mt. 5,37) Forse non riuscendo a spuntarla, o costretti continuamente ad una cattiva figura davanti alla gente, questa volta scribi e farisei provano a trarLo in inganno con uno stratagemma politico - religioso, molto sottile e provocatorio. Gli pongono la questione del tributo a Roma. Dal tempo della amministrazione romana in Palestina (6 d.c.) era stato introdotto il tributo a Cesare (census): tutti, donne, uomini e schiavi, dai 14 ai 65 anni dovevano versare all’erario imperiale “un denaro a testa” (la paga quotidiana di un lavoratore), come segno di sudditanza al potere straniero. Il pagamento di questo tributo, poi, consisteva in una speciale moneta recante l’effigie di Cesare Augusto con queste parole: “Tiberius Caesar Divi Augusti Filius Augustus Pontifex” che significa: Tiberio Cesare, augusto figlio del divino Augusto, sommo pontefice. Cosa che il popolo ebraico non poteva accettare, perché andava contro il secondo comandamento della Legge (Es. 20,4) che prescriveva di non farsi immagine alcuna né di persone, né di animali, né di cose, perché il culto spetta solo all’unico e vero Dio: Jahvè. Pertanto quella moneta era idolatrica. Ecco la trappola: se Gesù si fosse dichiarato favorevole al tributo, si sarebbe attirato l’ira del popolo che mal sopportava il dominio romano e la divinizzazione dell’imperatore; se avesse detto che il tributo non doveva essere pagato, si sarebbe messo contro l’imperatore e sarebbe stato accusato di aizzare la gente fomentando disordini. Gli erodiani, erano lì presenti, appunto per questo. Gesù con la risposta: “ Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Mt. 22,22) taglia corto: la moneta va restituita a chi l’ha coniata, anche perché i suoi interlocutori la utilizzano e la maneggiano. Il pagamento delle tasse, non usurpa i diritti di Dio. Se bene amministrate, possono rivelarsi utili per le necessità dei cittadini. Ma questo non significa che Cesare debba essere divinizzato! Nessuno dei beni di questo mondo, può avere la nostra adorazione ed essere considerato il TUTTO della vita. Se la moneta è di Cesare, che cosa è propriamente di Dio? I Padri della chiesa, nei primi secoli, facevano notare che “l’immagine” di cui parla Gesù nella sua risposta non poteva non evocare nei suoi ascoltatori la frase del racconto della Creazione: “ Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò” (Gn. 1,27) Dare a Dio quello che è di Dio, significa allora dargli tutto l’uomo. Non vi è sfera dell’agire e del vivere che non possa essere riferita a Dio che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. La persona umana vale più di tutti i soldi messi insieme, e di tutti i beni che possediamo; anzi la bontà di tutto questo, e della stessa vita politica, va giudicata proprio in base al rispetto e alla promozione di ogni persona umana. Donne e uomini non hanno altro sovrano se non Dio solo. C’è un legame profondo di ogni persona con Dio, e nessuno può sentirsi padrone di altri. Questa radicale dipendenza da Dio è il fondamento della piena libertà umana, anche di quella che può giungere al punto di rifiutare il suo Creatore, assumendosi tutte le responsabilità e le conseguenze di questo rifiuto, perché staccarsi dalle proprie Radici, dal Dio Amore, equivale morire anche a se stessi. L’uomo ha grande dignità, immensa dignità, proprio perché appartiene a Dio solo, e deve esserne geloso; geloso e vigilante: stia attento che altri non lo traggano in inganno con subdole forme di dipendenza! Tornare indietro non è facile. L’esperienza dice che quando la persona perde la sua dignità, non la riconquista facilmente, se non a prezzo di una dura e, a volte, sofferta conversione.


Don Roberto Zambolin


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