RENDERE PRESENTE CRISTO RISORTO
Seconda Domenica di Pasqua
(At.5,12-16; salmo 117; Ap.1, 9-11a 12-13.17-19; Gv.20,19-31)
Gesù è risorto, ha lasciato il sepolcro, come aveva annunciato prima di affrontare la sua passione e la sua morte. (Mt.20,19) Ora Egli vive ed è continuamente all’opera fra di noi. Fra di noi dove, come, quando? Quali i segni della presenza del risorto nella nostra storia e nella vita? Li cogliamo dalla Parola di Dio di questa domenica. Il Risorto manifesta i segni della sua Risurrezione nel corpo della chiesa, quando si vive la comunione e la riconciliazione reciproca; è presente nelle mille forme di guarigione che gli apostoli operano sul corpo di molti malati; svela la sua presenza nella vita di molte uomini e donne che danno una testimonianza gioiosa, coraggiosa, evangelizzante del vangelo della Risurrezione. L’Evangelo in cui noi crediamo, che cioè la vita non muore perché Cristo ha sconfitto la morte, (Ap.1,18; 2Tm.1,10) passa nel cuore e nella fede delle persone, non tanto perché lo proclamiamo, anche se ciò è molto importante, ma perché Cristo risorto vive nella esistenza di noi battezzati. Certo, come la seconda lettura ci ricorda, l’Evangelo è capace, a causa della Parola resa viva dallo Spirito, di portare alla salvezza. E Giovanni stesso riceve il comando di scrivere le visioni e le profezie (Ap.1,11) che diventeranno parole indirizzate a ciascuna comunità cristiana, e che, lette nella assemblea dei credenti, mentre narrano i segni del Signore della storia, risvegliano il desiderio di convertirsi sempre più a Lui. Ogni credente dovrebbe essere un Vangelo vivente, un testimone in carne ed ossa di quella novità di vita portata da Cristo risorto; dovremmo mostrare le cicatrici di ciò che per noi è comportato vincere le passioni per risorgere a novità di vita; dovremmo poter toccare le piaghe e le ferite del Cristo risorto, come Tommaso, contemplando le piaghe e le ferite che sono nella nostra mente e nel nostro cuore a causa della lotta quotidiana contro il male e il peccato se è vero quello che scrive la lettera agli ebrei: “ Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato”(Ebrei 12,4) La fecondità della Risurrezione viene dalla croce e dunque dalla lotta e dal tormento, dal martirio e dal dubbio, che altri ci causano o sono causati dentro di noi dalla nostra stesa adesione a Cristo.(Lc.9,23) Risorgere a vita nuova è affrontare le sfide e talora le violenze, fisiche e psichiche, le suggestioni di ogni genere provenienti da una mentalità pagana che vorrebbe sopprimere o neutralizzare la forza vivificante e sconvolgente della Parola di Dio, come è capitato agli apostoli; costoro, a causa della loro predicazione del Cristo risorto, sono stati messi in carcere, torturati, soffrendo per Cristo, assomigliando così in tutto questo al loro Signore. Anche oggi molti preferirebbero che Cristo fosse rimasto chiuso nel sepolcro, per sempre, perché così non continuerebbe a dare fastidio con la radicalità del suo vangelo e di tanti che hanno deciso di viverlo fino alle ultime conseguenze. Il Cristo risorto, vivo nella vita di tante donne e tanti uomini, continua ad essere scomodo! In questo sta la fecondità della predicazione e della testimonianza: è morendo che il chicco di grano porta frutto.(Gv.12,24) Vi è una testimonianza essenziale che i credenti in Cristo devono dare al risorto ed è quella della comunione nella Chiesa, testimonianza che raggiunge il suo culmine nella Eucaristia memoriale della Risurrezione del Signore, celebrato ogni otto giorni, di domenica. Durante l’Eucaristia domenicale, Pasqua della settimana, i battezzati celebrano la gioia del loro essere rinati in Cristo (Gv.3,3) e la fraternità del comandamento nuovo: “Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato"(Gv.13,34) Tale comunione d’amore, non può non portare i segni della sofferenza e del dolore: fare comunione è morire a se stessi, è ricomporre le ferite causate dall’egoismo, da ogni forma di discordia e di sopraffazione: cose tute disdicevoli, ma quando avvengono all’interno della chiesa sono addirittura scandalose; lo Spirito del Cristo risorto, al quale ogni credente è chiamato ad aprire il cuore, fa sperimentare la forza dell’amore di Dio che abbatte ogni muro di divisione che è frammezzo e l’inimicizia che separa (Ef.2,14) Nella comunità pasquale, infatti, la comunione si edifica sulla riconciliazione e sul perdono, perché il sacrificio di Cristo è un grande sacrificio di riconciliazione: fra Dio e l’uomo, fra gli uomini stessi, tra gli uomini e le cose, e tra l’uomo e il suo “io”. Ora “Se uno è in Cristo è una nuova creatura”(2Cor.5,17) Certamente dopo aver mortificato l’orgoglio, qualche ferita resterà, forse ogni tanto qualche cosa tornerà su, ma tutto questo ci viene a ricordare in Chi crediamo e in Chi speriamo, da Chi attingiamo la nostra forza e la nostra consolazione, in chi abbiamo posto fiducia e salvezza.(2Cor.1,10)