Quando amare vuol dire morire
Domenica delle Palme della Passione del Signore
(Is. 50,4-7; Fil. 2,6-11; Mt. 21,1-11; Mt. 26,14-27,66)
Per chi si accosta con fede a questa settimana di Passione, quasi vengono meno le parole, lasciando lo spazio alla riflessione e alla commozione. E’ una settimana da vivere intensamente, con il cuore e la preghiera. Chi è questo nazareno, prima accolto come un trionfatore, un liberatore da quelle folle che lo avrebbero visto, pochi giorni dopo, in condizioni disumane, sotto una croce, salire il calvario, come il più terribile dei delinquenti? Com’era possibile riporre la fiducia in Lui? Cosa aveva di ‘grande’? Solo l’amore! Quello sì che era grande, ‘divino’, fino a dare la vita perché gli altri l’avessero ed in abbondanza. È la stessa domanda che, forse, si pone tanta gente, oggi: ‘Gesù merita la nostra fiducia, tutta la nostra fiducia’? È forse Lui la pace che cerchiamo, o è altro che venga dagli uomini’? Gesù non si lasciò montare la testa dal trionfo, che gli tributava la povera gente di allora, soprattutto i bambini; aveva davanti agli occhi il prezzo da pagare, per dare la Sua pace: la dolorosa passione e morte in croce sul Calvario. Sapeva solo che l’Amore divino è un dono gratuito, fino all’ultima goccia di sangue e, non solo, è anche l’unica via per sconfiggere il male, e vincerlo non per una sola volta, per un solo periodo della storia, ma per me, per tutti gli uomini, per sempre. Ho sentito troppe volte una frase, che rivela la nostra sensazione di sconfitta di fronte al male, che serpeggia tra noi in mille forme, sempre nuove e terribili: “Crede lei nell’amore? Crede che la via dell’amore, della misericordia, della non-violenza, possa sconfiggere la violenza piccola o grande che sia, individuale o organizzata?”. Pensando al grave livello a cui è giunta la violenza nelle guerre del mondo, o nelle organizzazioni criminali, o dentro le nostre stesse case, molti sono tentati di affidarsi all’unica possibile “soluzione”: la guerra preventiva, la repressione dura, l’eliminazione dell’avversario, la violenza come difesa personale. Ed invece no. L’amore è la sola forma di pace, che si possa offrire all’uomo. Sempre. Forse l’amore, può, come in Gesù, dover diventare sacrificio, martirio, ma è sempre un dare vita, che fa germogliare vita. Oggi noi siamo vivi della resurrezione di Gesù.Forse è difficile accettare di vivere un amore, come quello di Gesù, così descritto dal profeta Isaia: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, la guancia a quelli che mi strappavano la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi” (Is 50,4-7). Per noi, che tante volte ci misuriamo con l’amore, nell’affrontare la superbia, la cattiveria o la malvagità, è difficile anche solo affermare che si deve ‘porgere la faccia agli sputi’; molto più facile farsi prendere la mano dal nostro amor proprio ed affidarsi ad una risposta di uguale o più grande violenza. Non è facile seguire Gesù nell’amore. Anche Lui ha provato tanta resistenza. Pensiamo all’agonia nel Getzemani, dove, per l’angoscia di ciò che l’attende, suda sangue e chiede al Padre di “allontanare” da Lui “quel calice”, però per amor nostro: “si faccia la Tua volontà”. È bello, oggi, fare compagnia a Gesù nel suo viaggio sull’asina, nella discesa della collina dell’orto degli olivi, tra la folla che applaude e agita le palme, esultando. Ammiriamo la dolcezza, la grandissima, irraggiungibile umiltà del Figlio di Dio, che accetta un labile trionfo da gente innocente, mentre nei suoi occhi e nel cuore già sono presenti i giorni della passione. Forse non sente neppure le grida, gli osanna, perché nel suo cuore già echeggiano le urla, i ‘crucifige’, gli insulti che lo attendono. In quel giorno, per tutti di festa, il suo è stato un martirio celato, nascosto, interiore, ma profondamente doloroso. Un martirio che forse prova anche oggi, di fronte a tanti di noi che fanno festa con le palme, ma non ‘conoscono’, non credono, non vivono il Suo Amore. Per chi crede, il Figlio di Dio, che si lascia applaudire, cavalcando un’asina, è davvero il trionfo dell’umiltà, che sarà dolore e umiliazione domani, per poi trasformarsi in gloria della resurrezione: una gloria che offre a noi se siamo disposti a seguirlo nel duro cammino della croce. È tanta la mia ammirazione e gioia nel contemplare e vivere, in questa Settimana, tutto questo Mistero di amore e di dolore, che non trovo parole e dunque le esprimo con le parole di un autore, Juan Arias: “E’ difficile e bello il mio Dio abbandonato da Dio… Il mio Dio che deve morire per trionfare. Il mio Dio che fa di un ladro e criminale il primo santo della Chiesa. Il mio Dio che suda sangue prima di accettare la volontà del Padre. È difficile questo mio Dio, questo mio Dio fragile, per chi pensa di trionfare soltanto vincendo, per chi si difende soltanto uccidendo, per chi salvezza vuol dire regalo e non sacrificio. Il mio Dio gettato nel solco, schiacciato sotto terra, tradito, abbandonato, incompreso, che continua ad amare. Per questo il mio Dio vinse lo morte e comparve con un frutto nuovo tra le mani: la Resurrezione. Per questo noi, ora, tutti, siamo sulla via della Resurrezione, uomini e cose”.