Prima lettera di Giovanni
Priva di intestazione, questa lettera, attribuita all'evangelista Giovanni, è in realtà molto simile a un'omelia o a un trattato teologico, forse destinato a circolare tra le varie Chiese dell'Asia Minore legate alla tradizione giovannea. Buon conoscitore della lingua greca, l'autore rivela però una matrice giudaica e un orizzonte legato a temi giù presenti nel quarto vangelo, anche se impostati in modo nuovo e originale, e riproposti nel contesto delle prime eresie gnostiche.
Dopo la solenne professione di fede nell'incarnazione di Cristo presente nel prologo, questo scritto sviluppa nei capitoli 1-2 l'antitesi "luce-tenebra", come appare dall'iniziale definizione di Dio, luce priva di qualsiasi tenebra (1,5). La successiva serie di capitoli (3-5) è dominata dal tema dell'agape, cioè dell'amore, che è un'altra definizione di Dio (4,8.16). Da lui, infatti, promana l'amore che si incarna nel Figlio suo Gesù Cristo, pronto a dare "la sua vita per noi" (3,16).
Trasformato dalla forza dell'amore divino in figlio di Dio, il cristiano ha un unico impegno da praticare, quello dell'amore fraterno (4,20-21). Si leggono, così, tutta la storia della salvezza e tutta la morale alla luce di questa realtà fondamentale, l'agape, che ha avuto il suo segno visibile più alto nella croce di Cristo, sorgente da cui scaturisce l'amore continuamente effuso nella Chiesa (5,5-8).
C'è, però, un altro appello che risuona in modo vigoroso in questa lettera, ed è quello alla fede nell'incarnazione di Cristo. Cominciavano, infatti, a serpeggiare alcune false dottrine che negavano "Gesù Cristo venuto nella carne" (4,2), considerando ciò un'umiliazione indegna del Verbo eterno, del Figlio di Dio. Questa profonda omelia o trattato si propone, dunque, di ribadire due punti capitali del cristianesimo, la purezza della fede e la pienezza dell'amore.