Prepararsi bene alla fine della vita - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...

Prepararsi bene alla fine della vita
33° Domenica del Tempo Ordinario anno B
(Dn.12,1-3;sal.15;Eb.10,11-14.18;Mc.13,24-32)


Le domande sull’origine e sulla fine del mondo, e quelle, più acute, sulla nostra morte e sulla nostra sorte dopo di essa, accompagnano da sempre il cammino della persona corredandolo di risposte date dalle visioni religiose, dalle riflessioni filosofiche e dalle ipotesi scientifiche. Tra le risposte circa gli approdi ultimi dell’esistenza umana, vanno annoverate quelle giudaiche e quella cristiane che vanno sotto il nome di "apocalissi" (quelle giudaiche)  e "rivelazioni" (quelle cristiane) I capitoli del
"genere letterario apocalittico" sono piuttosto drammatici: si parla di catastrofi, imminenza della fine, ultimo giudizio con relativa separazione dei buoni dai cattivi e nuova èra. Il tutto narrato in un clima di esaltazione, di paura e di attesa febbrile attenta a decifrare segni e a calcolare tempi. Una mentalità, a dire il vero, mai venuta meno nel corso della storia e presente anche oggi in alcuni gruppi (sette?) e con la quale lo stesso evangelista, che compone il suo scritto subito dopo il 70, ha dovuto fare i conti. Stando ad alcuni studi in merito, sicuramente nella comunità di Marco erano presenti gruppi apocalittici tra i quali circolava verosimilmente un libricino che alcuni esegeti hanno denominato «volantino giudeo-cristiano», volutamente fatto confluire nel capitolo 13 del Vangelo di oggi per esservi radicalmente trasformato. Volantino nato a partire da una lettura catastrofica del presente: sconvolgimenti naturali, guerre, persecuzioni e all’apice la distruzione di Gerusalemme, la città simbolo. All’epoca in cui Marco scrive il suo Vangelo, Gerusalemme era nella «tribolazione» (Mc.35,24) e nell’ «abominio della desolazione (Mc.13,14): segni questi letti come l’inizio della fine di una storia gloriosa, che passa, perché tutto passa; «Passa la scena, la figura, di questo mondo» (1Cor.7,31), il tempo si è abbreviato (Mc.13,20;1Cor.7,29), non ci sarà un’altra generazione (Mc.13,34). L’evangelista Marco prende atto di questa ansia apocalittica cogliendone il positivo: il non poterne più, il desiderio di emancipazione da tutte le potenze e i poteri che giocano a rendere amara la vita, il sognare un mondo diverso e l’attenderlo oggi stesso dal proprio Signore. Che cosa rappresenta, pertanto, la letteratura apocalittica le cui influenze si trovano anche nelle letture di questa domenica? E’ l’urlo del povero in situazioni estreme. la voglia di totale novità, di pieno cambiamento, di una nuova epoca: non se ne può più del vecchio! Marco prende atto di tutto questo e lo "ospita" nel suo Vangelo e nel contempo lo lima dalle sue sfaccettature negative ricorrendo a detti di Gesù ripensati nella comunità dei discepoli. Si trova, così, una forte esortazione: «fate attenzione» (Mc.13,23-33), «badate a voi stessi» (Mc 13,9), e «vegliate» (Mc.13,33-35);  inviti a risvegliare la coscienza su un argomento di sicura importanza, come è quello della fine del mondo, alla luce di parole che mai passeranno, quelle del Signore (Mc.13,31). Parole che in negativo dicono: state attenti a non perdervi in calcoli strani e a non divenire gente credulona Terremoti, carestie, tsunami, impreviste variazioni climatiche, guerre di ogni tipo sono innanzitutto non segni della fine del mondo, ma della quotidianità della storia, della realtà di sempre; dicono ciò che la vita spesso è: figlia "di un cuore di pietra" e di istituzioni di interesse restie a convertirsi; e in positivo  a non escludere, ovviamente, nemmeno l’utopia: quella di sperare l’apparizione di ciò che ancora non ha luogo: un mondo diverso, da tutti atteso con ansia, ma che sarà poco probabile, se nessuno vuole sporcarsi le mani e/o non toccare i problemi nemmeno con un dito. Per questo i discepoli di Gesù sono invitati a non perdere tempo e senno dietro calcoli di ore, di giorni e di tempi. "Ecologia mentale" è riconoscere di non sapere quando finirà il mondo e come. Badare a se stessi implica l’uscire dalla condizione di creduloni affascinati da falsi cristi e da falsi profeti che  si presentano sotto le vesti di «Io sono» la soluzione del problema dell’uomo e del suo destino. Attenti, dunque, ai vari santoni e predicatori, che sembrano avere risposte per tutto e su tutto. (Mc.6,21-23). Compito del discepolo è irridere idoli e idolatria, anche religiosa, rimanendo ancorato al suo Signore e alla sua Parola (Mc.13,31).Chiarito come non abitare il tempo della crisi, da illusi calcolatori del tempo, e da dipendenti che si affidano al fascino di pseudo-veggenti più o meno improvvisati, il discorso si fa positivo. Con intelligenza l’evangelista ha collocato il discorso della fine del mondo avanti il racconto della passione-resurrezione, a voler dire che la Pasqua è la chiave di lettura delle cose ultime. Guardiamo a come Cristo ha vissuto il tempo della sua crisi, della passione, della tribolazione: con una grande fiducia nel Padre suo, nella certezza che l’Amore è più forte di ogni morte e guardando anche chi ti fa del male con gli occhi dell’agape e della speranza. Che cosa salverà davvero il mondo dalla distruzione? Dicendo e testimoniando a tutti nella perseveranza (Mc.13,9-13.37) che il mondo del male inizia a finire là ove nascono creature di preghiera e di fuoco, (Mc.13,9-13.37) Queste le cose a cui badare, a cui porre attenzione e su cui vigilare. Amare la terra è abitarla diversamente e sognarla altrimenti, è affrettarne l’assoluta novità con la santità della vita


Don Roberto Zambolin


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