Preghiera e servizio - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...

Preghiera e servizio
(Is.53,2a.3a.10-11; sal.32; Eb.4,14-16; Mc.Mc.10,35-45)
Giornata mondiale missionaria

“ Il Servo del Signore è cresciuto come un virgulto davanti a Lui e come una radice in terra arida”( Is.53,2a) Queste stupende parole che introducono la prima lettura di questa domenica, dicono la nostra condizione di creature davanti a Dio: siano piccoli, facili a cadere, bisognosi di aiuto e di crescita. Siamo nelle sue mani, bisognosi di Lui più di ogni altra cosa, bisognosi soprattutto del suo Amore e della sua protezione. Siamo un “virgulto”, una pianticella e per di più in terra arida; facilmente possiamo seccare, perdere la freschezza, la gioia interiore, e tagliare le radici a causa delle nostre debolezze e del nostro peccato. Questa nostra condizione esistenziale, dovrebbe caratterizzare anche la nostra preghiera che deve essere per questo umile, aperta, fiduciosa, costante, e consapevole della distanza del nostro amore dal Suo, anche se figli. Soprattutto la nostra preghiera dovrebbe essere aperta alla volontà di Dio , pronti a svolgere con docilità e amore “il mandato”, cioè il compito che Lui ci affida per il bene del suo Corpo, che è la Chiesa.(Ef.1,23) E’quanto ci ricorda il brano evangelico di oggi: Gesù è il servo del Signore, perché ha portato a compimento, nel dono di sé, la volontà del Padre.(Gv.17,4) Dio stesso, poi, distribuisce a ciascuno doni e carismi,(1Cor.12,7) a seconda delle diversità delle persone e delle necessità degli uomini; attraverso quanto Dio ci ha donato, siamo chiamati, con attento discernimento, a servire, stando all’ultimo posto, la Chiesa. Missionario, infatti, non è colui che “sceglie” ciò che deve fare, o che svolge la propria missione come una sorta di volontariato a partire dalle proprie inclinazioni; missionario è colui che viene inviato, che viene mandato da un Altro che lo ha chiamato. La carità (agàpe) sarà l’anima della sua missione (tema della giornata missionaria mondiale di oggi) e non la centralità di se stesso. E’ per questo che la preghiera, come ricerca della volontà di Dio sulla propria vita, diventa fondamentale: essa ci mette in ascolto della chiamata, ci aiuta a fare discernimento di ciò che noi siamo davanti a Dio e non davanti a noi stessi… ci mette in ascolto delle sue attese, non delle nostre, ci educa a parlare di Lui e del suo Mistero di salvezza e non di noi e di ciò che riusciamo o meno a realizzare. La domanda dei due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, chiamati a seguire Gesù e a condividerne la missione, esprime la distorsione, forse più frequente della preghiera cristiana: chiedono, infatti, anzi pretendono, che Dio faccia ciò che loro vogliono. Mentre nel Padre nostro il discepolo chiede che sia fatta la Sua volontà. (Mt.6,10) La domanda dei due discepoli e, spesso anche le nostre domande, vanno in senso contrario. Le nostre domande, quando preghiamo, devono essere domande “aperte” alla libertà di Dio; soprattutto dobbiamo pregare in unione a Gesù Cristo, per chiedere innanzitutto a Dio che ci renda il più possibile conformi all’immagine del suo Figlio, altrimenti rischiamo di tradire la missione. Tutto questo significa pregare “nel nome del Signore”.(Gv.14,13) Chiediamo troppo a titolo personale. Spesso la nostra preghiera è un fatto individuale, solitario; e chiediamo poco allo Spirito il dono della docilità: quello di lasciarci modellare, come fa un vasaio con la creta (Ger.18.6), secondo la forma di Cristo. “ Tutto ciò che dobbiamo chiedere a Dio e dobbiamo attendere da Lui si trova in Gesù Cristo. Occorre cercare di introdurci nella vita, nelle parole, negli atti,nelle sofferenze, nella morte di Gesù, per riconoscere ciò che Dio ha promesso e realizza sempre per noi. Dio, infatti, non realizza tutti i nostri desideri, ma realizza le sue promesse” (D.Bonhoeffer) Anche noi, come i figli di Zebedeo, siamo tentati di chiedere i primi posti, di svolgere il compito missionario con presunzione e autosufficienza, più che come dono e servizio; talora ci aspettiamo riconoscenze e gratificazioni dalla nostra missione rivelando così di vivere la vita della comunità quasi finalizzata alla nostra riuscita. Il missionario, colui che va nel nome del Signore, deve fare il necessario passaggio da “ la comunità per me”, a “ io per la comunità”; non deve introdurre nell’annuncio del Vangelo i criteri mondani dei capi delle nazioni: né per sé, né per ciò che riguarda le modalità dell’annuncio; in rapporto alla comunità, poi, nessuna forma di concorrenza è ammessa nella Chiesa tra coloro che annunciano il Vangelo: “ Tra voi non deve essere così” (Mc.10,43) E quando abbiamo fatto quanto dovevamo fare, dobbiamo solamente dire: “ Siamo servi inutili” (Lc.17,10) Perché solo Dio è capace di arrivare al cuore. Noi, si e no, arriviamo solo ai dintorni…


Don Roberto Zambolin


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