Oltre i nostri orizzonti - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...

Oltre i nostri orizzonti
26° Domenica del Tempo Ordinario anno B
(Nm.1,25-29; Sal. 18; Gc. 5,1-6;Mc.9,38-43.45.47-48)

Il nostro arcivescovo, mons. Paolo Romeo, in parecchie riflessioni offerte particolarmente a noi presbiteri, ha ricordato che “” è missione di tutta la Chiesa, e nessuno, chiudendosi magari nelle propria realtà ecclesiale e/o parrocchiale, può pensare ad una missione propria, che non sia in comunione con quella della chiesa locale. E’ necessario “sentire cum ecclesia”: che è molto più di un sentire, o osservare le direttive della chiesa nei vari ambiti del servizio pastorale, ma è un vivere, partecipando alla vita della comunità palermitana (per noi cristiani di questa città) A noi presbiteri, spesso tentati di chiuderci nel territorio ristretto della nostra vita pastorale, l’arcivescovo ricorda: “Nessuno di voi deve privare i fedeli della bella opportunità di incontrarsi con gli altri credenti della stessa comunità diocesana, per confrontarsi, mettere in comune le esperienze, ricevere stimoli e proposte, aprirsi alla fantasia dello Spirito, e vivere intensi momenti di Chiesa attorno al proprio pastore” Per questo, egli ci ripete, che va fatta sì programmazione pastorale seria, nelle parrocchie e nel cammino formativo dei gruppi, ma pronti a posporre gli impegni parrocchiali a quelli più comuni della chiesa particolare. E’ importante all’inizio dell’anno pastorale che ci ricordiamo tutto questo, quando l’esigenza della programmazione ci prende. Forse, prima ancora di chiederci: che cosa dobbiamo fare quest’anno, dovremmo chiederci: chi siamo come credenti? Quanto siamo cresciuti umanamente, spiritualmente, ecclesialmente nell’esercizio del nostro servizio pastorale? Come evangelizzare in questo nostro territorio, con le forze che possediamo? A chi intendiamo rivolgerci nelle nostre iniziative pastorali? In quale direzione la comunione ecclesiale ci chiede di operare? Nel brano di questa domenica, Giovanni, uno dei dodici si fa avanti e con tono sicuro dice: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri".(Mc. 9,38) . Non di rado anche noi ragioniamo come Giovanni, e reagiamo con lo stesso spirito. La secca e sicura affermazione del discepolo esprime il fastidio tipico delle persone grette e ripiegate su se stesse e sul proprio gruppo. Non è questo evangelizzare, non è questo narrare Gesù Cristo, la buona notizia dell’Amore. In genere tale atteggiamento è teso piuttosto a difendere le proprie posizioni, le proprie convinzioni, non raramente i propri interessi, non guardando la sostanza delle cose che è la salvezza delle persone. Nel libro dei Numeri, a dimostrare quanto una tale mentalità sia radicata nel cuore degli uomini, è riportato un episodio analogo accaduto agli inizi del cammino del popolo d'Israele. Giosuè è informato che due uomini qualunque, non facenti parte del gruppo dei settanta responsabili d'Israele e senza avere un apposito mandato si sono messi a profetizzare. La sua reazione è immediata. Corre stizzito e preoccupato da Mosé per chiedergli che impedisca ai due che non fanno parte del gruppo prescelto, di parlare. Mosé risponde al giovane e zelante capo: "Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo spirito!" (Num 11, 29). Quel che preoccupa Giosuè, Giovanni e gli altri discepoli (compresi molti di noi) non è la guarigione dei malati e la liberazione dei posseduti dagli spiriti, ma il proprio gruppo e la propria istituzione, o meglio la propria sicurezza, il proprio potere che essi vedono garantito nel gruppo e nell'istituzione. Ma non è questo il pensiero di Gesù, che sa riconoscere e guardare con simpatia anche i frutti che vengono da altri alberi. Il mondo di oggi non è né migliore, né peggiore di quello che ci ha preceduto: solo è diverso e più complesso. I cambiamenti, nelle persone, nella cultura, nel modo stesso di pensare la fede, avvengono più velocemente e tante volte, anche inconsapevolmente. Questo non deve essere solo un problema, né principalmente un problema, ma una sfida per noi e per la chiesa, per la vita di ogni parrocchia. Sfida che va affrontata riflettendo, forse ripensando la nostra pastorale, discutendo maggiormente insieme, confrontandoci di più nelle esperienze, mettendo in comune diversità e carismi, curando soprattutto la qualità della proposta. Mai come oggi la solitudine pastorale non paga. Il prossimo Convegno Diocesano pastorale del 7-8 e 14 ottobre ha proprio questo significato: educarci a progettare e lavorare insieme per la stessa causa, partendo dalla Parola di Dio. Le nostre parole vengono tutte dopo. S.Teresa di Gesù Bambino ci aiuti e interceda per noi tutti: lei chiusa nel suo convento aveva però un cuore universale. Pieno di amore per la Chiesa tutta. Così dovrà essere anche per noi.
Don Roberto Zambolin


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