Occorre vederci bene - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...

Occorre vederci bene
5° Domenica del Tempo Ordinario anno A
(Is. 58,7-10; sal 11; 1Cor.2,1-5; Mt. 5,13-16)

Ho sempre amato la montagna e, perché non dirlo, un po' anche il rischio che a volte questa comporta. Ricordo, di una notte nella quale assieme ad alcuni amici, tentammo di giungere in vetta, che era a 3.500 metri. Non avevamo alcuna pila con noi che facesse luce. Ci affidavamo al sentiero tracciato che a malapena si vedeva. Ad un certo punto in un bivio di sentieri, nel buio, scegliemmo quello che ci sembrava più facile e piano. Quel sentiero si fermava ad una fontanella. Davanti a noi ora si parava la scelta della scalata di una montagna, che si presentava irta come un muro pieno di sterpaglie. Decidemmo di non tornare indietro per il sentiero lasciato ed affrontammo l'arrampicata, senza vedere dove finiva e dove portava. Credevamo bastasse arrampicarsi con grande fatica, scivolando continuamente. Finché, nel buio assoluto, ci accorgemmo del pericolo in cui ci eravamo messi. Tornare indietro voleva dire cadere. Andare avanti era quasi impossibile. Finché decidemmo di gridare, senza sapere neppure, nella notte, se qualcuno da qualche parte ci avrebbe sentiti. Fummo sentiti da alpinisti, che erano in un bivacco sul ciglio. Risposero al nostro grido, vennero in soccorso. Giunti al sicuro, la prima parola ci dissero: "Siete davvero dei folli. Avete rischiato la morte. Vi è andata bene, perché vi abbiamo sentito". Fattosi luce, guardammo dove eravamo, ed in effetti eravamo in un luogo senza ritorno e con il pericolo di perdere le forze e cadere in basso e morire. Ed è così per tanti nella propria vita. Per questo, quando la vita si fa più dura, e il camminare più faticoso, o quando abbiamo vissuto uno spezzone di esistenza (penso ai passaggi che devono affrontare i diciottenni prima, e poi i quarantenni e poi i sessantenni...) è saggio fermarsi, guardare il tratto di strada compiuto, capire in quale momento della vita ci stiamo trovando, quali sentieri abbiamo percorso , cosa è stato il nostro passato, che cosa c'è davanti a noi...e mai fare da soli, ma sempre in compagnia e con l'aiuto di una guida! Quella esperienza ha insegnato a me credente e prete che quando viene meno quella luce, che è la fede, e si fa scuro dentro di noi, siamo tentati di abbandonare il sentierodell'anima, per prendere quello più in discesa, apparentemente più facile e senza fatica. E si rischia così di venire a trovarci, in un buio pericoloso che non si sa dove ci conduca. Lo conosciamo tutti il sentiero "facile" che, a volte, porta a scelte estreme, come il suicidio, la tossicodipendenza, l'alcolismo, o ad alcune disturbi della personalità non facilmente trattabili se lasciati stagnare nel corso degli anni. L'esperienza di più di trent'anni di colloqui con le persone, mi convince che basta guardare fissa negli occhi una persona, che ti si accosta con fiducia, senza i veli che nascondono l'anima, per "leggere" la luce o il buio, che sono l'atmosfera della sua vita interiore. Gesù, incontrando le persone, "le fissava dolcemente negli occhi", come fece con il giovane ricco, che rifiutò l'offerta di seguirLo, o con Zaccheche si lasciò subito conquistare: "Zaccheo scendi, oggi voglio entrare nella tua casa", o della samaritana al pozzo. E' la prima cosa che faccio quando incontro qualcuno che viene a parlarmi. Non ci vuole molto per leggere luce e notte in chi ti sta di fronte. Le parole che dicono, poi, possono solo alzare il velo. E se si riesce a donare un poco di luce, è come se nel cuore dell'interlocutore si spalancasse il cielo e tutto diventa bello, come quando raggiunsi la vetta. "Così dice il Signore: Spezza il tuo pane all'affamato, introduci in casa i miseri, senza tetto, vesti chi è ignudo, senza mai distogliere gli occhi dalla tua gente. Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà: implorerai aiuto ed egli dirà: Eccomi! Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all'affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua oscurità sarà come il meriggio" (Is. 58,7-10). Ma bisogna che noi la chiediamo a Dio una tale luce. e ci sforziamo di liberarci dalle falsi luci, troppe luci, dal luccichio di tante facili scorciatoie, alla banalità della bellezza fisica, al facile battimano del palcoscenico della vita, insomma da tutte quelle "cose" che, davanti alla serietà della vita, sono davvero cianfrusaglie destinate a creare confusione, arroganza, continua ansia, incertezza, insomma quel buio, che non ti abbandona mai; semmai ti concede momenti di ebbrezza, che svaniscono subito, lasciandoti l'amaro in bocca. Gesù, oggi, a noi, che siamo suoi discepoli, chiede di più: chiede di essere "luce e sale della terra" dopo essere stati alla scuola della sua Parola e aver ben assimilato la sua Carità. Vi offro una poesia di Trilussa: "Quella vecchietta cieca che incontrai la notte che me persi in mezzo al bosco e mi disse: "Se la strada nun la sai t'accompagno io, che la conosco. Se ciai la forza de venimme appresso de tanto in tanto te darò una voce fino là in formo dove c'è un cipresso, fino là in cima dove c'è una croce". Io risposi: "Sarà, ma trovo strano che me possa guidà chi non ce vede". La cieca allora, me pijò la mano e sospirò "Cammina". Era la fede.


Don Roberto Zambolin


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