NUOVI PRETI O PRETI NUOVI ?
QUARTA DOMENICA DI PASQUA
(At.13,14.43-52; sal.99; Ap.7,9.14b-17;Gv.10,27-30)
Qualche giorno fa, al termine del catechismo, ho aiutato una bambina di 7 anni ad attraversare la strada assieme alla nonna malferma sulle gambe. In mezzo al traffico intenso della nostra via Filippo Parlatore, sentii la mano della piccola stringere più forte la mia. “Hai paura”?, chiesi alla bambina. Sorridendo mi rispose: “ No, perché io mi fido di te”. La stessa cosa cogliamo quando vediamo una coppia di coniugi che in alcuni momenti della vita, sanno affrontare le difficoltà e i travagli dovuti a problemi economici, famigliari o relativi alla situazione dei figli, tenendosi per mano, fidandosi l’uno dell’altro pur nella diversità delle loro persone. Altri, invece, di fronte alle medesime problematiche, vacillano fino alla rottura. Che cosa non ha funzionato? Non è sempre lo stesso amore e la stessa grazia che sostengono un matrimonio tra cristiani, anche se in momenti diversi della vita? La Parola di Dio di questa domenica, evidenzia una situazione analoga: che cosa fa della prima comunità cristiana di Gerusalemme “Un cuor solo e un’anima sola”(At.4,32) e che cosa, invece, non ha funzionato nella comunità dei Giudei di Antiochia tanto da giungere ad una persecuzione contro Paolo e Barnaba? (At.13,50) Non è la stessa Parola quella che viene proclamata ad Antiochia, a Iconio e quella poi annunciata e accolta dai pagani e da tutte le genti? Non è la stessa vocazione alla santità che spinge i battezzati, ciascuno con i propri carismi e il proprio servizio nel mondo e nella Chiesa, a testimoniare che Dio è Amore? E come mai alcuni sono più efficaci nel trascinare gli animi e altri no? Gesù oggi ci parla del suo Amore, paragonandolo a quello del pastore per le sue pecore. E’ un rapporto di fiducia che intercorre fra pastore e gregge dovuto ad una comunione quotidiana di vita: il pastore vive con le pecore, cammina con loro, ne porta persino l’odore, e proprio per questa comunione che si è stabilita egli “va in cerca della pecora perduta e riconduce all’ovile quella smarrita, fascia quella ferita e cura quella malata, ha cura della grassa e della debole”(Ez.34,16) Certo, per un pastore, ogni pecora è un investimento economico, ma anche per Dio ogni persona è una ricchezza, innanzitutto perché figlio, pensato e desiderato fortemente, ad immagine del suo Figlio Gesù Cristo ed è anche…perché no?, è un investimento missionario! Come tra pastore e pecore si stabilisce una relazione di cura e di affetto, così anche tra ciascuno di noi e il Padre si stabilisce un profondo rapporto amoroso grazie al “dono della vita” del Pastore bello per le sue pecore; dono del quale partecipiamo fin dal giorno del nostro Battesimo. Le pecore, ascoltandone la Voce nella lettura orante dei testi sacri, ne condividono la Vita, ne riconoscono la voce, possono contare sulla sua presenza e sul suo interessamento. E il pastore bello sa ascoltare la preghiera del suo gregge, sa nutrirlo e proteggerlo. I Giudei di Antiochia non si sono fidati della Parola annunciata da Paolo e da Barnaba, per invidia e per gelosia, e così il gregge ha finito per dividersi e disperdersi. Invece i pagani hanno accolto con animo libero da ogni forma di pregiudizio la predicazione degli Apostoli, lasciandosi trasformare dalla forza della Parola. Ecco: i presbiteri sono chiamati a diventare i pastori del gregge di Cristo che è l’umanità; per questa Cristo ha dato la vita. Perciò Egli è il pastore bello e buono delle pecore. Allora servono pastori che abbiano lo stesso cuore di Cristo, un cuore reso adulto e maturo dal continuo donarsi e sacrificarsi per le pecore. Preti contenti di vivere, interiormente sereni, psicologicamente e spiritualmente maturi, uomini capaci di amare, in maniera libera, attenti a tutto il gregge e contemporaneamente alle necessità delle singole pecore. Pastori che attingano dai Misteri che celebrano la forza di spezzare la propria vita per tutti, senza ovili preferenziali, che amino il gregge senza esserne giudici. Pastori accoglienti, carichi di tenerezza e di spirito nuziale, portatori di una Parola della quale loro stessi, per primi, si nutrono e che vivono nella dimensione della carità pastorale. Pastori preoccupati non di pascere se stessi o di spadroneggiare sul gregge loro affidato, (Ez.34,2) ma esclusivamente di essere umili servitori, attenti alla crescita umana e spirituale di ciascuna pecora, lavorando per la comunione e l’unità del gregge, nella certezza che le pecore non sono “proprietà privata”, ma del Signore. Soprattutto servono pastori profondamente convinti che essere Chiesa significa crescere insieme, pastore e gregge. Non sono solo i pastori chiamati ad indicare la via ai laici, ma anche i laici devono formare e far crescere i propri pastori. Oggi, giornata mondiale di preghiera per le vocazioni sacerdotali, preghiamo perché il Signore non ci doni solo nuovi presbiteri, ma soprattutto presbiteri nuovi…