Fiumi d'acqua viva...
Non spegnere la pazienza
3° Domenica di Avvento anno A
Is.35,1-6.8.10; salmo 145; Gc.5,7-10; Mt.11,2-11
La terza domenica di Avvento si sofferma su un tema importante e, per certi versi, provocatorio: quello della pazienza nelle situazioni della vita, del rispetto dei tempi di maturazionedi sé e degli altri. All’uomo frettoloso di oggi, a questo nostro uomo del “tutto e subito” e delle tappe bruciate, la parola di Dio ricorda quanta saggezza e quanta fonte di personale si nascondano nell’attendere, nella pazienza costruttiva che, mentre da una parte stimola a far meglio, dall’altra non forza le situazioni; una pazienza che se non cede sui valori, si interroga però da dove partire per incontrare l’altro nella verità della sua vita. Il brano della lettera di Giacomo che risuona oggi nelle nostre assemblee liturgiche, che ci parladel contadino che“aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra”(Gc.5,7), ci aiuta ad andare ancora più in profondità.. L’agricoltore, infatti, è l’immagine dell’uomo che sa aspettare; e questo soprattutto in Israele dove lavorare alle prese con un terreno deserto e arido è una lotta quotidiana. Questa lotta contro il deserto, va fatta anche quando l’attesa è segnata dalla sfiducia e dall’impotenza, perché solo così si può campare, solo così la vita resiste, solo così il contadino esperienza della fatica prima, ma della gioia intima e profonda poi, per un raccolto in vista del quale egli ha scommesso tutto se stesso: i suoi tempi, le sue energie, la sua grande pazienza, senza buttare la spugna. Il contadino, poi, aspetta e rispetta anche i tempi della terra: le stagioni della semina, dei frutti e della raccolta nella consapevolezza che la vita germoglia nel buio della terra, là dove affondano le radici e dove occhio umano non può penetrare, là dove Dio diventa maestro e accompagnatore, nella pazienza, della vita di ognuno di noi. I nostri giudizi sulle sorelle e sui fratelli, invece, sono spesso segnati dalla fretta e dalla foga, espressioni di mancanza di fede e di vera carità. Dobbiamo camminare, invece, accanto alla sorella e al fratello accompagnando con pazienza i tempi di Dio che, solo, conosce il cuore dell’uomo e, solo, può convertirlo aLui al momento opportuno. E Dio non delude. L’atteggiamento di Giovanni il Battista, che manda i suoi discepoli a interrogare Gesù propria identità di inviato del Signore, è di esempio. Domenica scorsa egli ci aveva come intimidito per il suo rigore, per la sua parola tagliente, per la netta separazione tra buoni e cattivi. Ma pur rimanendo fermo e coerente con se stesso, vediamo che egli non cessa di interrogarsi sulla pazienza di Gesù verso chi non ce la fa, verso i più deboli, i più peccatori, verso coloro che in mille modi sono colpiti da sofferenze e malattie. Giovanni non si irrigidisce sulle sue posizioni, sulle sue idee di Dio, ma si mette in questione, si pone delle domande, forse entra anche in crisi. Comunque rimane aperto, senza frettolose conclusioni, alle sorprese, alle novità di un Dio che in Cristo è essenzialmente misericordia e vuole risanare i cuori affranti. Giovanni è uno che sa attendere pazientemente, senza rinunciare al suo cammino spirituale. La vita di famiglia non sempre ci vede attenti all’esercizio della pazienza, da molti concepita come solo gesto di sopportazione, tipico di chi subisce e soffre in silenzio. La pazienza, come quella di Giovanni e dell’agricoltore, è veramente la virtù dei forti, di coloro che non vivono come canne sbattute dal vento o sono abituati a mollezze e ad una esistenza superficiale e vuota di valori. Perché la vera pazienza aiuta a vedere e ad amare chi abbiamo accanto con gli occhi di Dio, aiuta a rispettare i tempi di ognuno, a non sostituirsi agli altri nel superamento delle difficoltà, a crescere e a far crescere favorendo la realizzazione personale più autentica. Aiuta a perdonare e a ricominciare ogni volta superando l’incomprensione, la paura, il senso di frustrazione, lo scoraggiamento. Quando in casa volano parole come: “Non cambierai mai”, oppure: “Tu mi deludi sempre”, dovremmo ricordarci che non solo siamo impazienti, ma anche egoisti, perché vorremmo l’altro come noi stessi. Cioè non lo amiamo. E se non c’è amore, non c’è famiglia, e se non c’è famiglia, c’è poi tutto il resto….La nostra fede di credenti, che vede Gesù presente nella piccola comunità famigliare, aiuta a vedersi con occhi sempre nuovi e non raramente compie piccoli e grandi “miracoli”: scioglie i risentimenti, migliora la comunicazione, l’intesa e l’attenzione reciproche, apre gli occhi e gli orecchi alla comprensione di tutti e di ciascuno, rompe la prigione della solitudine e della indifferenza. Con l’avvicinarsi del Natale, cerchiamo di riscoprire nelle nostre famiglie l’amore che fa nuove tutte le cose, anche gli aspetti più quotidiani e più banali della nostra esistenza, delle nostre relazioni o quelli che disperiamo possano cambiare. Un gesto di tenerezza, fare il primo passo per riconciliarsi, trasmette messaggio: “ Ti amo come sei, non come ti vorrei”e possono spianare le montagne del nostro orgoglio, riempire i vuoti e le nostre mancanze e aprire una strada fra i cuori. Ognuno di noi, a casa propria, si prenda a cuore gli altri membri della famiglia con la fiducia e la pazienza dell’agricoltore. E Dio farà il resto.
Don Roberto Zambolin