MARIA NELL'OPERA LUCANA
(TERZO VANGELO E ATTI DEGLI APOSTOLI)
Luca, autore di un'unica opera suddivisa in due parti (cf At 1, 1-2; Lc 1, 1-4) - il terzo vangelo e gli Atti degli Apostoli - è l'autore neotestamentario che più parla di Maria, trasmettendoci episodi che hanno esercitato un'influenza straordinaria sulla spiritualità e sull'arte (si pensi alle innumerevoli versioni pittoriche dei racconti dell'annunciazione e della visitazione, solo di Luca) e fornendo così la più cospicua base scritturistica per la riflessione teologica sulla figura della madre del Signore.
La maggior parte del materiale concernente Maria si trova nei capitoli 1-2 del terzo vangelo (il nome stesso Maria ricorre ben dodici volte in questi capitoli e mai altrove nel vangelo: 1,27.30.34.38.39.41.46.56; 2,5.16.19.34), in relazione al concepimento, alla nascita e alla crescita di Gesù (di cui Lc 2,42 afferma che aveva compiuto dodici anni). Durante il ministero pubblico di Gesù due soli testi mostrano la presenza di Maria: in modo diretto essa compare in Lc 8,19-21, l'episodio in cui la madre e i fratelli di Gesù cercano di incontrarlo (testo parallelo a Mc 3,31-35 e Mt 12,46-50, ma con una precisa e significativa redazione lucana); in modo indiretto essa appare solamente nella scena di Luca in cui una donna, mescolata tra la folla che ascoltava Gesù, gli si rivolge proclamando beata colei che l'ha portato in grembo e allattato (Lc 11, 2 7-28). Negli Atti degli Apostoli Maria compare una sola volta (At 1, 14), nominata accanto a coloro che erano riuniti a Gerusalemme in preghiera prima della Pentecoste.
La ragazza di Nazaret
L'inizio del racconto universalmente noto come «l'annunciazione» (Le 1,26-38)presenta Maria come vergine, legata a un uomo appartenente al casato davidico, di nome Giuseppe (Lc 1, 26-2 7). Presumibilmente molto giovane di età, secondo le usanze matrimoniali del tempo, è probabile che anche secondo Luca, come già per Matteo, essa si trovasse in quella fase del matrimonio in cui ancora non aveva rapporti con Giuseppe («non conosco uomo»: Lc 1,34) non essendo ancora andata a vivere con lui. Il testo ci indica anche il luogo dove Maria viveva: Nazaret di Galilea (Lc 1,26). La Galilea era la regione settentrionale della terra d'Israele in cui si parlava un dialetto facilmente riconoscibile (Mt 26,73) e da cui provenivano molti appartenenti al movimento zelota, che perseguiva la liberazione dall'occupante romano anche con mezzi violenti. Questo spirito di indipendenza si manifestava nei confronti dell'interpretazione della Torah e soprattutto nei confronti delle regole di purità scrupolosamente osservate in ambienti farisaici. La Mishnah ricorda più volte l'approssimazione tipica dei Galilei nell'interpretare la Torah. Sia da testi della tradizione ebraica (come il Talmud), sia dai vangeli, emerge la tensione fra i Giudei, soprattutto i «Cittadini» gerosolimitani e i Galilei, «campagnoli», giudicati rozzi e ignoranti, annoverati fra quel am ha-arets (lett. «popolo del paese») che non conosceva la Torah e non la osservava debitamente. L'evangelista Giovanni ambienta nel Tempio a Gerusalemme una discussione sorta fra coloro che avevano ascoltato parlare Gesù, alcuni dei quali, fra l'altro, dicevano: «Il Messia viene forse dalla Galilea?» (Gv 7,41). Nello stesso contesto, i farisei dicono alle guardie che non hanno arrestato Gesù: «Questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta» (Gv 7,49) e ribattono così a Nicodemo: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea» (Gv 7,52). Nazaret era un insignificante villaggio (mai nominato nell'Antico Testamento) che non godeva di grande stima, come traspare dalle parole di Natanaele nel quarto vangelo: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46). Gli scavi archeologici hanno consentito di sollevare il velo sulle condizioni di vita del villaggio nel I secolo il. C.: «Alcune grotte nella montagna servivano in parte come abitazioni. Anche i depositi per i cereali erano scavati nella roccia, e così pure i torchi per l'uva, per produrre il vino, e i torchi per le olive, per ottenere l'olio. C'erano anche mulini a mano, presso i quali le donne sedevano già prima del sorgere del sole, per macinare la farina per il fabbisogno quotidiano. Tutto fa pensare a condizioni di vita quanto mai semplici. Ogni famiglia doveva lottare per il pane quotidiano. Maria vive in questo ambiente umile e povero. Viene dalla campagna».
La vocazione di Maria
Le sobrie annotazioni appena svolte accennano all'ambiente storico e sociale in cui visse Maria, ma i testi evangelici non consentono di ricostruire storicamente la figura di Maria, recuperando una «Maria della storia». Essi invece, e questo è particolarmente visibile in Luca, ci presentano il frutto della meditazione teologica sgorgata dalla fede pasquale e maturato nei primi decenni di vita delle comunità cristiane. Luca stesso, quando parla di Maria, fa opera di teologo, attraverso il ricorso continuo a testi e riferimenti veterotestamentari che ne arricchiscono e rendono più complessa e articolata la figura.
Gli esegeti sono sostanzialmente d'accordo nel riconoscere che il genere letterario dell'annunciazione è un genere misto fra il "racconto di vocazione" e il "racconto di una nascita prodigiosa". Ma è soprattutto il primo che prevale, come mostra lo stretto parallelismo con il racconto della vocazione di Gedeone nell'Antico Testamento (Gdé 6,11-24) e conformemente all'intento lucano di mostrare la vocazione di Maria, il suo posto particolarissimo nella realizzazione del piano di salvezza. Il confronto fra i due testi è illuminante, sia per quanto riguarda le somiglianze che le differenze. Un angelo del Signore (Gdc 6, 11; Lc 1,26.34.35) appare a Gedeone e gli parla (Gdc 6,12; Lc 1, 28) salutandolo con le parole: «Il Signore è con te» (Gdc 6,12; Lc 1,28) e affidandogli la missione di salvare Israele con la sua forza (Gdc 6,14). La missione affidata a Maria è invece quella di concepire e dare alla luce un figlio in forza della grazia di Dio e della potenza dello Spirito santo (Lc 1,30-33.35). Al dubbio di Gedeone (Gdc 6,13) corrisponde il turbamento di Maria (Lc 1, 29); alla domanda di Gedeone («Come salverò Israele?»: Gdc 6,15) fa eco la domanda di Maria («Come accadrà questo?»: Lc 1,34); Gedeone viene rassicurato con le parole: Io sarò con te» (Gdc 6,16) e Maria con la promessa: «Lo Spirito verrà su di te» (Lc 1,35). La nascita di Gesù è dunque il compito a cui Maria è chiamata, ma che potrà realizzare non tanto contando sulla propria forza (come Gedeone), ma solo sulla grazia di Dio (Xaris: Lc 1, 30) e sulla forza dello Spirito (Lc 1,35). Compito di Maria sarà la fede: credere al compimento della parola di Dio (Lc 1, 45). Il centro del testo è infatti cristologico e teologico: Dio è il protagonista di tutto (Lc 1,26.28.30.32.35.37) e tutto tende alla nascita del Messia, il Figlio dell'Altissimo (Lc 1,31-33). In questo Maria è semplicemente «la serva del Signore» (Lc 1, 38).
Sterilità e verginità
L'annuncio dell'angelo a Maria, «la Vergine» (Lc 1,27), è strettamente connesso (a partire dall'annotazione cronologica iniziale: «Nel sesto mese» di Lc 1, 26) con quanto avvenuto a Elisabetta, «la sterile» (Lc 1,36). Ora, sia la sterile che la vergine sono impossibilitate a generare, e questo, nella mentalità biblica, le colloca in una situazione gravemente negativa, eppure sarà proprio tramite esse che si compirà la promessa messianica. Quella promessa già nell'Antico Testamento si era fatta strada grazie a nascite prodigiose da donne sterili. La storia della salvezza è la storia dell'impossibile che Dio rende possibile: in Sara che, sterile e avanti negli anni, partorisce Isacco, «il figlio della promessa» (Gen 18,1-15; 21,1-7,- Gal 4,28); in Rachele e Lia, moglie di Giacobbe, che alternativamente sono sterili e diventano madri (Gen 29-30) generando i capostipiti delle dodici tribù d'Israele; in Anna che, sterile e umiliata dall'altra moglie di Elkana, Peninna, che era feconda, arriva a partorire Samuele (1Sam 1)... Luca inserisce Maria in questa storia di povertà e negatività umana che Dio arriva a mutare, a ribaltare, scegliendo, per mandare a effetto il suo disegno salvifico, ciò che nel mondo è disprezzato e insignificante, ciò che non si impone (1 Cor 1,27-28). Non a caso Luca fa pronunciare all'angelo le parole «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,3 7), riprese dall'annuncio della nascita di un figlio rivolto a Sara (Gen 18,14), e fa proclamare a Maria, nel Magnificat, che Dio ha rivolto lo sguardo «alla sua umiliazione», tapèinosis (Lc 1,48), termine che in Gen 29,32 designa la situazione di sterilità di Lia: «Il Signore, vedendo che Lia veniva trascurata, la rese feconda, mentre Rachele rimaneva sterile. Così Lia concepì e partorì un figlio e lo chiamò Ruben, perché disse: Il Signore ha guardato la mia umiliazione"» (Gen 29,31-32). Il concepimento virginale del Messia ha dunque, per Luca, un valore teologico e storico salvifico: Dio è il Signore della storia, colui che compie meraviglie, rendendo possibile ciò che all'uomo è impossibile. E’ i lDio che salva, piegandosi in modo compassionevole e misericordioso su chi è piccolo e povero.
L'inaugurazione della nuova alleanza
L'attenzione di Luca alla storia di salvezza lo porta a sottolineare il ruolo particolare che Maria vi svolge e il momento cruciale in cui essa si colloca. Così che la scena dell'annunciazione è presentata da Luca come l'evento inaugurale della nuova alleanza. In effetti, la chiamata e il conferimento della missione a Maria sono situati all'interno della relazione che Dio unilateralmente, per grazia, instaura con lei. Non a caso il nostro episodio echeggia il vocabolario proprio dei formulari dell'alleanza dell'Antico Testamento. Una figura di mediazione (qui, l'angelo Gabriele; nel racconto dell'alleanza sinaitica, Mosè) si fa portavoce del piano di Dio presso un destinatario umano (qui, Maria; là, il popolo d’Israele) a cui rivolge un discorso che contiene esigenze, conferimento di responsabilità e promesse. A questo discorso segue la risposta del destinatario del messaggio (Maria afferma: «Ecco la serva del Signore, mi avvenga secondo la tua parola», Lc 1,38; il popolo risponde: «Quanto il Signore ha detto noi lo faremo», Es 24,7; e durante il rito di rinnovamento dell'alleanza al tempo di Giosuè il popolo dice: «Noi vogliamo essere servi del Signore ( ... ) noi serviremo il Signore( ... ) noi serviremo il Signore e obbediremo alla sua voce», Gs 24,15.21.24). E come spesso al contraente umano dell'alleanza viene dato un segno che convalida e autentifica la promessa divina (cf. Gen 9,12.13; 17, 11,- ecc.), così qui il concepimento di Elisabetta assolve per Maria la funzione di segno dell'alleanza (Lc 1, 3 6-3 7).
L'allusione all'alleanza è ottenuta da Luca anche attraverso un riferimento sottile all'Antico Testamento contenuto in Lc 1,35, dove si dice che «la potenza dell'Altissimo coprirà Maria con la sua ombra», come appare evidente dal parallelismo fra Es 40,35 e Lc 1, 35:
Es 40,35 la nube coprirà con la sua ombra la tenda del convegno
Lc 1,35 la potenza dell'Altissimo coprirà con la sua ombra te
Maria appare la dimora di Dio, la tenda del convegno, il luogo dell'incontro tra Dio e uomo. La nube che aveva coperto il monte Sinai al momento della stipulazione dell'alleanza sinaitica (Es 19,16) trova un corrispettivo nella potenza di Dio che copre Maria in un evento che Luca legge come l'inaugurazione della nuova alleanza. E’ allora evidente che questa rilettura teologico-scritturistica, attuata da Luca nei confronti di Maria, coglie in lei una figura non solo individuale, ma anche collettiva.
La figlia di Sion
Il saluto con cui l'angelo si rivolge a Maria (Chaìre: Lc 1,28) può essere inteso come una semplice e quotidiana formula di saluto (si pensi all'Ave del latino della Vulgata), ma anche, e con buone probabilità di andare più vicini alle intenzioni di Luca, in modo letterale: «Rallegrati». Diversi passi veterotestamentari usano questa espressione per salutare l'azione salvifica di Dio, e in alcuni di questi testi tale invito è rivolto alla figlia di Sion. Ora, Sion era il nome di una parte di Gerusalemme o di un suo colle che divenne poi denominazione dell'intera città. «Figlia di Sion» è termine che, probabilmente, in origine si riferiva a un sobborgo di Gerusalemme abitato da profughi del Nord dopo la caduta di Samaria nel 721 a.C., ma poi fu esteso a tutta Gerusalemme e persino a Giuda. I testi più significativi sono due oracoli messianico-escatologici:
Rallegrati grandemente, figlia di Sion, [...] il re d'Israele, il Signore, è nel tuo seno (Sof 3,14-15 LXX)
Rallegrati grandemente, figlia di Sion, ecco il tuo re viene a te (Zc 9,9 LXX)
In altri passila figlia di Sion è chiamata «vergine» (betulah/parthènos: Is 37,22; Lam 2,13). Luca sembra dunque aver voluto tratteggiare la figura di Maria in maniera tale da lasciar trasparire, dietro ad essa, la figlia di Sion, la comunità santa d'Israele, quella personalità corporativa a cui si rivolgevano i profeti per annunciare la venuta del Signore in mezzo ad essa, nel suo seno; quella Gerusalemme, spesso personificata in una donna sterile o che comunque non abbia partorito, a cui diversi oracoli dell'esilio e del post-esilio annunciavano l'imminente visita salvifica di Dio, invitandola a gioire (Is 54,1- 7).
La donna trasformata dalla grazia
L'angelo si rivolge a Maria chiamandola Kecharitomène espressione tradotta con gratia plena dalla Vulgata, la «piena di grazia» dell'Ave Maria, la popolare preghiera cristiana. Tuttavia l'espressione greca non è tradotta adeguatamente da «piena di grazia»: Luca conosce l'espressione plènes chàritos e la utilizza in Al 6,8 parlando di Stefano: «Stefano, pieno di grazia e di forza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo». Ma la forma verbale (participio perfetto passivo) e il tipo di verbo (charitòn) suggeriscono un altro significato. Maria viene indicata come donna che è stata trasformata dalla grazia, dalla chàris, e quindi resa gradita e accetta a Dio. Maria non viene chiamata dall'angelo per nome, ma con questa espressione che quasi diviene il suo nome proprio: Maria è completamente definita dall'azione di Dio in lei e dalla missione a cui essa la abilita. Questo verbo designa il rapporto tra Dio e Maria: essa ha fatto spazio alla grazia di Dio su di lei e rimane sotto l'effetto di questa sovrana e gratuita azione divina che è una vera e propria elezione.
Non a caso, infatti, seguono subito le parole dell'angelo: «Il Signore è con te» (Lc 1, 28). Questa espressione, famigliare a chi abbia confidenza con le Scritture, è usata solo per le persone a cui Dio ha affidato un progetto o una missione speciale. Da un lato essa indica l'aiuto che Dio accorda al suo eletto per lo svolgimento del compito conferitogli: a Mosè per far uscire il popolo dall'Egitto (Es 3, 11 12; 4,12), a Giosuè per compiere il passaggio del Giordano e far entrare il popolo nella terra promessa (Gs 1,5)... D'altro lato, essa svela anche nel destinatario un senso di impotenza, di debolezza, di piccolezza, di inadeguatezza rispetto al compito ricevuto. Così è per Mosè (Es 3,11-12): «Mosè disse a Dio: "Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall'Egitto i figli d’Israele?». Rispose: Io sarò con te"». Così è per Geremia: a Dio che l'ha stabilito profeta per le genti, Geremia risponde: ««Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane." Ma il Signore gli rispose: Non dire: Sono giovane, ma va' a coloro a cui ti manderò e annuncia ciò che ti ordinerò. Non temerli perché io sono con te per proteggerti»» (Ger 1, 6-8); così per David (2Sam 7,9), ecc.
Quando Maria reagisce turbandosi, le parole dell'angelo si aprono con la rassicurazione «Non temere», frequentemente presente nelle teofanie (cf., p. es., Gen 15,1 e Dn 10, 12, dove il «non temere» è seguito da un nome proprio, come in Lc 1,30), che per la Bibbia è molto più una promessa che un comando. E subito dopo viene il motivo che fonda la possibilità di non avere paura: «Hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30). Questa espressione designa l'atteggiamento con cui Dio si rivolge ai grandi protagonisti della storia di salvezza, disponendosi a una relazione di particolare vicinanza con essi: così è con Noè (Gen 6,8), con Mosè (Es 33,17), con David (At 7,46), ecc. Questa "grazia" indica dunque la relazione da persona a persona, nel caso specifico, il rapporto di Dio con Maria: è in forza di questa disposizione di Dio verso di lei che Maria potrà dare il proprio assenso al compimento del disegno divino, disegno che si concretizza nel compimento della promessa messianica.
Madre del Messia, madre del Signore
In effetti, le parole con cui l'angelo annuncia a Maria in che cosa consisterà la sua "missione" riprendono l'antica promessa annunciata da Natan a David e riportata in 2Sam 7,12-14.16. L'intenzione di Luca è di mostrare che Dio intende portare a compimento l'alleanza stretta con i padri, compimento che si avrà con l'opera e la persona di Gesù, il realizzatore delle promesse messianiche. Anzitutto, Luca sottolinea che Giuseppe appartiene alla casa di David (Lc1,27), quindi inserisce l'intero quadro dei capitoli 1-2 del suo vangelo all’interno di una cronologia che ha anche significato teologico ed esprime l'idea del compimento del tempo. Per tre volte si parla di «compimento di giorni» (Le 1,23; 2,6.22); tra annuncio a Zaccaria e annuncio a Maria passano sei mesi (1,26), tra annuncio a Maria e nascita di Gesù passano altri nove mesi (2,6) e tra nascita e presentazione al Tempio trascorrono quaranta giorni (2,22). In tutto, dunque, quattrocentonovanta giorni o settanta settimane, cioè un lasso di tempo corrispondente al periodo annunciato dall'angelo Gabriele (Dn 9,21) a Daniele come introduttivo al compimento dell'evento messianico: «Settanta settimane sono fissate ( ... ) per mettere fine all'iniquità, eliminare la colpa e assolvere il peccato, far giungere la giustizia eterna, suggellare visione e profezia e ungere il Santo dei Santi» (Dn 9,24). Per Luca, dunque, Maria svolge un ruolo capitale ai fini del compimento dell'evento messianico, e non a caso la sua maternità è annunciata come realizzazione della profezia di Isaia:«Ecco, la Vergine concepirà e darà alla luce un figlio e lo chiamerà Emmanuele» (Is 7,14 LXX). Nell'annunciazione, infatti, l'angelo dice alla vergine (1,27) Maria: «Ecco, concepirai e darai alla luce un figlio e lo chiamerai Gesù» (1, 3 1).
L'identità e il compito del nascituro sono descritti nei vv 32-33 facendo ricorso a profezie veterotestamentarie che mostrano in Gesù l'erede delle promesse davidiche. Egli «sarà grande» (1,32), adempiendo così la promessa fatta a David: «Te poi il Signore farà grande» (2Sam 7, 11); sarà «figlio dell'Altissimo» (1,32), cioè si troverà situato nella specialissima vicinanza con Dio propria del Messia davidico: «Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio» (2Sam 7,14; e cf Sal 2,7; 89,2 7); a lui «Dio darà il trono di David, suo padre» (1,32 ' - e cf. 2Sam 7,13.16; Sal 89,30) «e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà mai fine» (1,33; e cf 2Sam 7,16; Is 9,6; ecc.). Tutta la storia della pro messa davidica e della speranza messianica trova la sua realizzazione in Gesù tramite Maria, la madre del Messia.
Di più, i titoli riferiti a Gesù in Lc 1,35 già consentono di anticipare l'attributo di Maria quale madre del Signore che le sarà esplicitamente conferito da Elisabetta («la madre del mio Signore»: Le 1,43). Gesù viene chiamato «santo» (titolo applicato a Gesù anche in Lc 4,34; At 3,14; 4,27.30) e «Figlio di Dio» (Le 4,3.9.41; 22,70; At 9,20; ecc.). L'accumulo di titoli cristologici mostra che funzione del racconto è di convogliare l'attenzione sul Cristo, sulla rivelazione del mistero contenuto in Gesù. Mistero che nel v. 35 è espresso con il linguaggio della confessione di fede cristologica che presenta Gesù come Figlio di Dio ad opera dello Spirito santo, cioè con le parole con cui la Chiesa nata dall'evento pasquale confessa il Cristo quale Signore risorto e vivente (cf Rin 1,4). Luca anticipa questa confessione già al momento del concepimento del bambino aprendo la via all'approfondimento del mistero dell'incarnazione: Gesù è il Figlio di Dio da sempre; da sempre egli è il Signore, il Kùrios. Il Cristo Signore confessato dalla fede della Chiesa va riconosciuto come tale fin dalle sue umili origini.
La donna di fede
Senza entrare in letture psicologiche della figura di Maria, è evidente che il racconto dell'annunciazione cerca di tradurre l'itinerario interiore di Maria e il suo sfociare in un assenso di fede pieno e incondizionato. La costruzione letteraria dell'annunciazione presenta tre interventi dell'angelo (1,28; 1,30-33; 1,35-3 7) e tre relative reazioni di Maria (1,29; 1,34; 1,38). Anzitutto, Maria resta turbata e perplessa di fronte al saluto dell'angelo (Le 1,29). Poi, all'annuncio del concepimento e del parto, Maria reagisce con una domanda (1,34) che, nell'intenzione di Luca, non è espressione di incredulità, come nel caso di Zaccaria (Le 1, 18-20), ma manifesta «la fede che interroga». Del resto, la Maria dipinta da Luca è una donna ebrea credente e osservante, come appare dalla sua partecipazione alla vita liturgica del suo popolo (Le 2,4 1), dalla sua sottomissione alla Legge (Le 2,27.39), dalla sua puntuale obbedienza alle prescrizioni rituali previste per la circoncisione (Le 2,2 1) e la purificazione (Le 2,22-24). La sua domanda letteralmente suona: «Come avverrà questo? Non conosco uomo» (Le 1,34), cioè, secondo l'uso semitico per cui il verbo «conoscere» può indicare l'avere relazioni sessuali, Maria sta chiedendo come potrà avvenire questa nascita, dal momento che lei non ha ancora relazioni sessuali. E la spiegazione più ovvia (e conforme al testo di Matteo) è che Maria si trovi nella già ricordata fase intermedia del matrimonio ebraico. Queste parole di Maria, espresse da Luca con una forma verbale presente che indica la durata (andra ou ginosko),sono state interpretate, a partire da Gregorio di Nissa in Oriente e da Agostino in Occidente, come risoluzione di Maria di restare vergine, interpretazione che nel Medioevo si spinse fino a farle diventare espressione di un vero e proprio voto di verginità. A parte qualche esegeta che ancora oggi cerca di salvare in qualche forma (proposito di verginità, desiderio di verginità) questa opinione, appare evidente non solo l'anacronismo del «voto di verginità, realtà tipicamente cristiana proiettata a ritroso su Maria, ma anche l'assurdità della situazione di una donna che, mentre si sta legando in matrimonio con un uomo, nutrirebbe il proposito di verginità. La logica della narrazione di Luca pone l'accento sul fatto che la situazione in cui Maria si trova costituisce un ostacolo umanamente insormontabile alla realizzazione del messaggio dell'angelo.
Non a caso l'ultimo intervento dell'angelo culmina nell'affermazione che «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37). A quel punto l'ultima reazione di Maria è il suo fiat, il suo rimettersi completamente alla parola di Dio: «Ecco la serva del Signore, mi avvenga secondo la tua parola» (Le 1, 38). Ecco ciò che porterà Elisabetta a lodare Maria come donna di fede: «Beata colei che ha creduto che vi sarebbe stato compimento a quanto le aveva detto il Signore» (Le 1,45). Maria è donna di fede perché crede più alla parola del Signore che all'evidenza di miseria e di povertà della propria vita: crede più alla potenza della promessa del Signore che all'evidente impossibilità umana di realizzarla. Non stupisce che il Magnificat tenda un arco che traversa l'intera storia di salvezza partendo da Maria, la credente che magnifica ciò che Dio ha operato in lei, in condizioni di impossibilità umana, e risale fino ad Abramo (Le 1,55), «il padre dei credenti» (cf Rm 4): «[Abramo] ebbe fede, sperando contro ogni speranza ( ... ). Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo - aveva circa cento anni - e morto il grembo di Sara. Per la promessa di Dio non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento» (Rm 4,18-21).
La donna capace di ascolto
La fede di Maria si fonda sulla sua capacità di ascolto della parola di Dio. E se l'ascolto è sempre uno scavare in sé uno spazio per la presenza di un altro, un accogliere l'altro, un farsene dimora, possiamo dire che Maria è veramente il prototipo dell'ascolto. Il suo ascoltare la parola trasmessa dall'angelo diviene un farsi dimora, nella sua stessa carne, della presenza del Signore, tanto che si può affermare che la maternità di Maria è anzitutto di ordine spirituale, connessa cioè al suo ascolto obbediente della parola di Dio. Maria concepisce fisicamente il Figlio di Dio perché l'ha concepito spiritualmente. Agostino, inaugurando una lunga tradizione, scrive che Maria concepì il Figlio di Dio prius mente quam ventre, cioè, «nello spirito prima che nel corpo» (Discorso 215, 1).
Possiamo comprendere in questa luce il testo di Lc 11,2728, che troviamo solo nel suo vangelo: «Ora, avvenne che, mentre [Gesù] parlava, una donna dalla folla, alzando la voce, gli disse: «Beato il ventre che ti ha portato e le mammelle che hai succhiato!'. Ma egli disse: `Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono! "». Le parole di Gesù non sminuiscono la maternità che ha avuto, ma riconoscono Maria anzitutto come colei che ascolta e custodisce la parola (Lc2,19.51). La maternità di Maria è colta nel suo valore spirituale! E per Luca qui Maria è veramente tipo del credente: la redazione lucana dell'episodio dei famigliari di Gesù che vengono a trovarlo ha sostituito il «fare la volontà di Dio» diMarco, con l'«ascoltare e mettere in pratica la parola di Dio»: «Mia madre e mie ifratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,2 1). Maria diviene così figura del discepolo, e il discepolo, per Luca, è caratterizzato anzitutto dall'ascolto della parola. La «serva del Signore» che si rimette totalmente alla parola del Signore, richiama così la figura del «Servo del Signore»: il cosiddetto «terzo canto» del Servo (Is 50,4-9) lo presenta come discepolo che quotidianamente rinnova l'ascolto del suo Signore, ed è tale ascolto che lo rende «servo», appartenente al suo Signore (Is 50,4). Ma questo movimento è quello che, secondo Luca, deve animare ogni cristiano: ogni discepolo è infatti chiamato a divenire servo del Signore (Lc 17, 10; At 4,29,-16,17; 20,19). Nascerà da qui la tradizione patristica che parla del cristiano come di colui che, grazie all'ascolto della parola di Dio e alla fede, è chiamato a concepire e a generare il Cristo nella propria anima. A divenire egli stesso «madre del Signore».
Arca dell'alleanza
Come abbiamo visto, Maria è già stata presentata da Luca come luogo della presenza di Dio con le parole dell'angelo, che accostano il suo adombramento ad opera della potenza dell'Altissimo all'adombramento avvenuto sulla dimora del Signore nel libro dell'Esodo (Lc 1,35 e Es 40,35). Nell'episodio della visitazione, questo significato viene precisato e arricchito da espliciti riferimenti all'arca dell'alleanza.
Innanzitutto il testo presenta Maria che, dopo aver dato il suo assenso alla missione ricevuta dall'angelo, intraprende un viaggio verso l'anziana cugina Elisabetta (Lc 1,39). Luca attribuisce molta importanza al tema del viaggio: egli interpreta tutto il ministero di Gesù come un cammino, un andare (poreùomai: 4,42; 7,11; 9,51.53.56.57; 13,22.33; 17, 11; 22,22.39; 24,28) che non designa solo la salita a Gerusalemme (9,51; 13,22; 7, 11), ma comprende anche la salita al Padre (Al 1, 10-11, dove l'ascensione è espressa come un «camminare», poreùomai, verso il cielo). Negli Atti degli Apostoli, che usano il termine «via» per indicare la vita e la comunità cristiana (At 9,2; 18,25-28; 19,9.23; 22,4; 24,14.22), Luca, che con tutta probabilità fu egli stesso un evangelizzatore, accorda molta importanza ai viaggi missionari. Così 1o stesso affrettarsi di Maria verso Elisabetta è descritto come tipo di un viaggio missionario. In effetti, quel viaggio di Maria (forse suscitato dalla carità verso l'anziana parente in un momento di bisogno?) diviene un portare il Cristo, quel Cristo che lei ospita nel suo seno. Maria è infatti la dimora visibile della presenza ancora invisibile di Dio tra gli uomini: è la foederis arca, l'arca dell'alleanza, anzi, ormai, della «nuova alleanza». Tutta la scena della visitazione è costruita sull'episodio del trasferimento dell'arca in Giudea narrato in 2Sam 6, 1 sgg.
Il passaggio dell'arca avviene «nella gioia» (2Sam 6,12) e il viaggio di Maria avviene «nell'esultanza» (Lc 1, 44). Come il popolo grida di fronte all'arca (2Sam 6,15), così Elisabetta grida di fronte a Maria (Lc 1, 42) e ne proclama la beatitudine. Quando Luca dice che Elisabetta davanti a Maria «esclamò» a gran voce, utilizza infatti un verbo che non solo ha qui l'unica ricorrenza in tutto il Nuovo Testamento, ma che nell'Antico Testamento designa un'esclamazione liturgica connessa particolarmente con la cerimonia del trasporto dell'arca (1 Cr 15,28; 16,45.42; 2Cr 5,13). Come il viaggio dell'arca si svolge nel paese di Giuda (2Sam 6,2), così anche il viaggio di Maria (Lc 1, 39). L'arca è introdotta «in casa» di Obed-Edom (2Sam 6, 10) e Maria entra «nella casa» di Zaccaria (Lc 1,40), e come l'arca rimase tre mesi in quella casa (2Sam 6, 11), così Maria resta tre mesi in casa di Zaccaria (Lc 1,56). Sia l'arca che Maria spandono benedizione con la loro sola presenza: «il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua casa» (2Sam 6, 11); il saluto di Maria, che è benedizione efficace, fa sussultare di gioia il bambino nel seno di Elisabetta e provoca la discesa dello Spirito su Elisabetta e sul figlio che porta in grembo (Lc 1, 41-44). Se l'arca era sacramento della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, Maria appare dimora del Signore: davanti all'arca David esclamò «Come potrà venire a me l'arca del Signore?» (2Sam 6,9) ed Elisabetta, davanti a Maria, esclama a sua volta «Come mi è dato che la madre del mio Signore venga a me?» (Lc 1,43).
Questa costruzione testuale tende a mostrare Maria come sito individuabile del Dio-con-noi, della presenza di Dio tra gli uomini. Nella lunga storia del dimorare di Dio in mezzo al suo popolo, storia che ha conosciuto come momenti culminanti il «sacramento» dell'arca dell'alleanza e il Tempio di Gerusalemme, ecco che finalmente appare che il luogo più degno della presenza di Dio tra gli uomini è il corpo umano. Anzi, il corpo materno, il corpo di una donna che si fa casa e cibo di un'altra vita umana. Ed è all'interno della pregnanza emotiva e di significato dell'incontro fra le due donne incinte che Elisabetta proclama una lode verso Maria.
«Benedetta tu fra le donne» (Lc 1,42)
L'incontro fra Maria ed Elisabetta viene descritto da Luca quasi come una pentecoste: lo Spirito scende su Elisabetta e sullo stesso Giovanni che esulta nel suo grembo. Maria rende possibile l'adempimento della promessa che era stata rivolta a Zaccaria: «Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua [di Giovanni Battista] nascita, poicbé egli sarà grande davanti al Signore, non berrà vino né bevanda inebriante, e sarà pieno di Spirito santo fin dal seno di sua madre» (Le 1, 14-15). In realtà, attraverso l'incontro delle due donne, Luca ha di mira l'incontro tra i due figli, anticipando fin nel seno delle rispettive madri quel dialogo tra profezia e compimento che caratterizza Giovanni e Gesù e che porta già ora Giovanni, «il profeta dell'Altissimo» (Lc 1, 76), a riconoscere «il Figlio dell'Altissimo» (Le 1,32).
In Giovanni che sussulta nel grembo materno vi è in effetti il profeta che riconosce il Messia che viene. L'esclamazione di Elisabetta «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno» (Lc 1, 42) ha illustri precedenti nelle analoghe «benedizioni rivolte a donne che, con il loro coraggio e la loro astuzia, hanno contribuito a liberare Israele in momenti di pericolo: «Sia benedetta fra le donne Giaele» (Gdc 5,24); «Benedetta sei tu, figlia (Giuditta), davanti al Dio altissimo più di tutte le donne sulla terra» (Gdt 13,18). Ancora una volta Luca inserisce Maria nella storia di salvezza che Dio conduce nei confronti del suo popolo. La seconda parte del macarismo (proclamazione di beatitudine), che riguarda il frutto del seno di Maria, echeggia invece la promessa di Mosè al popolo qualora avesse obbedito alla voce del Signore: «Se tu obbedirai fedelmente alla voce del Signore Dio tuo e osserverai tutti i suoi comandi, benedetto tu ( ... ) e benedetto il frutto del tuo grembo» (Dt 28,1-4). La benedizione rivolta a Maria è anche la benedizione proclamata sull'Israele fedele e obbediente, su quella parte del popolo santo che ha osservato e custodito la parola e dal cui seno è sorto il Messia, il frutto benedetto per eccellenza.
La donna di preghiera
Le parole di Elisabetta proclamano Maria «benedetta» in quanto madre del Signore (Lc 1,42) e «beata» per la sua fede (Le 1, 45); con questa proclamazione Elisabetta dà inizio a quel riconoscimento che sarà accordato a Maria nelle successive generazioni: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Le 1, 48). A Elisabetta, la Madre del Signore risponde con una preghiera, il Magnificat, in cui attesta che non ha fatto nulla, mentre è Dio che ha fatto tutto, colui del quale si deve riconoscere la grandezza («magnificare»).
Con tutta probabilità il Magnificat non è una composizione operata da Maria, anche se il suo carattere antologico (il Magnificat è un insieme di reminiscenze scritturistiche salmiche soprattutto) ne fa una preghiera ricca ma semplice, che riflette la spiritualità di circoli di poveri del Signore, di quegli anawim a cui apparteneva anche Maria. Non è neppure opera di Luca, ma, come ritiene la maggioranza dei critici, un inno in uso nelle comunità giudeo-cristiane, assunto da Luca e fatto pronunciare a Maria. Ne emerge un quadro estremamente ricco. Il Magnificat è certamente, nell'intento di Luca, la preghiera con cui Maria esprime il suo ringraziamento, la sua lode e la sua benedizione al Dio che ha compiuto meraviglie in lei, ma è anche la preghiera con cui la comunità si rivolgeva con sentimenti di stupore e adorazione, ringraziamento e lode al Dio che ha operato, opera e opererà meraviglie nella storia, meraviglie che, per una comunità cristiana, culminano nell'evento pasquale. Tutto sommato è molto suggestivo questo passaggio del nostro inno dalla comunità giudeo-cristiana a Maria e poi da Maria di nuovo alla comunità dei cristiani, che in ogni tempo ripetono queste parole celebrando il Dio fedele alle sue promesse e Signore della storia. Nella Liturgia delle Ore cattolica il Magnificat viene in effetti cantato ogni giorno alla sera, in una anamnesi della storia di salvezza da Abramo a Maria, dunque a Cristo, fino all'oggi storico di chiunque lo prega. Maria che canta il Magnificat è figura della Chiesa: «Luca ha fatto del Magnificat l'azione di grazie di Maria, tipo di ogni azione di grazie nella Chiesa». Non a caso Luca, negli Atti degli Apostoli, raffigura la Chiesa come contrassegnata dalla preghiera (At 2,42; 12,5; ecc.). E non a caso Luca presenta ancora Maria in preghiera all'inizio degli Atti degli Apostoli: a Gerusalemme, insieme agli Undici, alle altre donne che avevano seguito Gesù dalla Galilea (cf. Le 8,2-3) e ai fratelli di Gesù (a testimoniare dunque l'avvenuto passaggio della famiglia carnale alla nuova famiglia di Gesù), «Maria, la madre di Gesù» (Al 1, 14) stava in preghiera nell'attesa della Pentecoste. Come era presente alla nascita di Gesù, così ora Maria è presente alla nascita della Chiesa. E in entrambe le situazioni appare polo di attrazione dello Spirito santo.
Il genere letterario del Magnificat combina elementi del ringraziamento e dell'inno; in esso, maggiormente significativo è il carattere teocentrico: il Magnificat è un "discorso' su Dio come protagonista della storia di salvezza. Il Ciò che Maria celebra, avendola dunque riconosciuta prima nella storia e nella sua esistenza, è la misericordia di Dio, così come Anna celebrò nel suo cantico (ISam 2,1-10), echeggiato in modo particolare nel Magnificat, la misericordia di Dio che le aveva tolto la sua vergogna (la sterilità). Per due volte (Le 1,50.54) ritorna il tema della misericordia (éleos) di Dio, tema che viene costantemente variato ed espresso anche nella maniera paradossale del Dio che usa la forza per rovesciare le situazioni di ingiustizia e di oppressione. L'abbattimento degli uni (superbi, potenti, ricchi) diviene salvezza per gli altri (umili, affamati). Anche nei suoi effetti più violenti, la forza di Dio nel Magnificat è cantata sempre a servizio della sua misericordia.
Le parole iniziali contengono le uniche azioni di cui Maria è soggetto: Maria «magnifica» ed «esulta», gioisce di una gioia che trova in Dio la propria sorgente. La stessa Maria si definisce completamente in relazione a Dio: è la donna decentrata da sé e completamente rivolta al Signore, di cui celebra l'azione. Questa azione consiste essenzialmente in quel "ribaltamento" delle sorti che sarà un tema ricorrente del terzo vangelo, in cui poveri e umili sono innalzati e ricchi e potenti sono abbassati. In Luca Gesù rivolge più che mai la sua privilegiata attenzione a emarginati, esclusi peccatori, a donne, a samaritani, a poveri, mostrando che essi, non coloro che si ritengono giusti, sono i destinatari della salvezza di Dio. Tutti questi temi, che trovano il loro apice espressivo nelle beatitudini (che Luca non a caso accompagna ai «guai» rivolti ai ricchi.- Lc 6,20-26), sono presenti nel Magnificat, che diviene una sorta di sintesi dell'evangelo. E' stato giustamente scritto: «Se, con la sua accettazione della parola di Dio riguardo a Gesù (1,38.45), Maria è la prima dei discepoli di Cristo e la prima a rientrare nei criteri in base ai quali è costituita la famiglia escatologica di Gesù (8,21), è ancora lei ora che proclama il Vangelo prima di chiunque altro». Queste osservazioni portano a sottolineare un altro elemento che caratterizza la fisionomia spirituale di Maria: la sua povertà.
La donna povera
I verbi usati nel Magnificat per esprimere la lode che Maria rivolge al Signore si trovano frequentemente nei salmi dei poveri, quei Salmi dove pregano degli anawìm, termine che indicava in origine persone di bassa condizione sociale, passato poi a significare quanti non potevano contare sulle proprie forze, dunque i «curvati», gli «afflitti», gli «oppressi», coloro che potevano affidarsi solamente al Signore (Sal 5,12; 9,23; 20,5.7; 31,8; 34,3; 40,17; 69,3 1; ecc.). La donna che sta pregando il Magnificat è dunque una povera. Questo non significa solamente che la persona di Maria è una 'povera in spirito' ma che anche la Maria figura corporativa, la Maria figura della comunità cristiana è contrassegnata da questa dimensione: proprio Luca mostra, più di ogni altro evangelista, la dimensione ecclesiologica della povertà, anzi, il suo essere uno spazio di salvezza. Se i poveri sono i destinatari per eccellenza della salvezza, Maria è la povera che nel Magnificat si riconosce salvata, e riconosce di aver fatto l'esperienza della salvezza di Dio: «Il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore» (Lc 1,47), con tutta l'intensità di quel «mio Salvatore» (eco di Ab 3,18), che evidenzia come la salvezza non sia un’idea astratta, ma consista in una relazione personale con Dio.
Il Dio che Maria canta, è il Dio che difende il povero e l'oppresso: questo il Dio d'Israele, il Dio dei padri; questo il Dio narrato da Gesù nella sua predicazione e nel suo agire; questo il Dio celebrato e testimoniato dalla Chiesa. Maria, a cui Luca accorda un posto di rilievo particolare all'interno della storia di salvezza, si trova associata a questo tema che unifica tutta la storia di salvezza.
«Maria custodiva tutte queste cose nel suo cuore»(Lc 2,19.5 1)
Il racconto della nascita di Gesù è molto sobrio: la notizia dell'evento è data quasi en passant (Lc 2,7). Le circostanze in cui il bambino viene alla luce sono fuori dall'ordinario: giunti a Betlemme, luogo natio di Giuseppe, i due coniugi sono forse ospiti presso la casa di lui o alloggiati in un caravanserraglio o in un altro luogo di ospitalità in cui, dato il grande affollamento, è possibile trovare solo una mangiatoia in cui deporre il neonato. Il testo dice che Maria «partorì il suo figlio primogenito»: questo aggettivo (protòtokos) ha essenzialmente una connotazione teologica e tende a situare Gesù nella sua relazione unica e privilegiata nei confronti di Dio e non a evocare ipotetici fratelli e sorelle successivi. Gesù è il primogenito e, in quanto tale, è «consacrato al Signore» secondo la Legge mosaica (Es 13,2. 11 sgg.): Luca sta già preparando la presentazione al Tempio di Gesù (cf Lc 2,22-24; soprattutto il v. 24), ma nel contempo non tralascia di mostrare la premurosa e affettuosa cura materna con cui Maria avvolse in fasce il neonato.
Quando i pastori ebbero visto «Maria, Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia» (Lc 2,16), annunciarono ciò che era stato detto loro circa il bambino (Lc 2,17). Questo annuncio (che nell'intenzione di Luca già prelude all'annuncio degli evangelizzatori cristiani) suscita una duplice reazione: alla «meraviglia» di tutti coloro che ascoltavano (Lc 2,18), si contrappone Maria che «da parte sua, custodiva tulle queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc
2,19). Gli ascoltatori restano al livello della meraviglia, dello stupore; sebbene questa reazione non sia connotata negativamente in sé, essa però rimane superficiale, insufficiente a penetrare il mistero, e può presto sfociare in rifiuto (cf Le 4,22 sgg.,- 20,26) o quanto meno accompagnarsi a una persistente incredulità (Le 24,11-12.4 1).
Di Maria, invece, si dice che, «da parte sua» (con leggera sfumatura di contrasto) «custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore». Anzitutto Maria «custodisce con cura» (il verbo usato è sunterèo, molto simile al diaterèo di Lc 2,5 1), inoltre le «cose» che Maria custodisce sono in realtà rèmata, dunque «parole e/o eventi», infine essa compie un'opera di interpretazione espressa con il verbo sumbàllo che indica sia "mettere insieme", «confrontare», che «pervenire all'interpretazione chiara e giusta dell'evento». Questo lavoro interiore di Maria significa una non immediata comprensione e una fatica di interpretazione di tutto quanto riguardava suo figlio. Nell'episodio del ritrovamento di Gesù nel Tempio, Luca, oltre a mostrare i tratti psicologici della madre che, angosciata, cerca insi eme a Giuseppe il figlio smarrito e, una volta trovatolo, lo rimprovera con le parole: «Figlio, perché ci hai fatto così?» (Lc 2,48), presenta chiaramente l'incomprensione delle parole di Gesù da parte dei suoi genitori (Lc 2,50). In questa non comprensione, tuttavia, Maria assume l’atteggiamento «giusto» e custodisce nel cuore tutto quanto, cercando di cogliere il senso degli eventi.
«Anche a te una spada trafiggerà l'anima» (Lc 2,35)
Una distanza fra i suoi genitori e il bambino è già abbozzata in Lc 2,33, dove Maria e Giuseppe restano meravigliati delle cose pronunciate sul bambino da Simeone nel Tempio di Gerusalemme (si tratta delle parole che formano il Nunc dimittis: Lc 2,29-32). Simeone allora, dopo aver benedetto i genitori di Gesù,,«parlò a Maria, sua madre, e disse: "Ecco, questi è posto a rovina e resurrezione di molti in Israele, e a segno cui sarà contraddetto, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori, e anche a te una spada trafiggerà l'anima"» (Lc 2,35). Il testo è enigmatico e ha dato vita a un gran numero di interpretazioni: la spada come simbolo del dubbio che traversa Maria durante la passione del figlio (Origene); la spada come allusione alla morte violenta di Maria (Epifanio, ma di questo non abbiamo alcuna notizia fondata); la spada indicherebbe le sofferenze subite da Maria a causa delle accuse di illegittimità lanciate nei confronti di Gesù, oppure la sua sofferenza nel vedere la caduta di Gerusalemme, o nel constatare il rifiuto di Gesù da parte di Israele, e così via. E’ possibile che Luca voglia alludere alle dolorose conseguenze personali che la vicenda di Gesù avrà su di lei, o forse, meglio, alla divisione che Gesù è venuto a portare e che si verificherà anche all'interno della sua famiglia: proprio il prosieguo del testo mostra l’incomprensione che separa i genitori di Gesù dal figlio (Lc 2,48-49, dove va notata la contrapposizione fra «tuo padre e io» da un lato e «il Padre mio» dall'altro). «Presumibilmente, attraverso l'immagine di una spada che trapassa l'anima a Maria, Luca descrive il difficile processo di comprensione del fatto che l'obbedienza alla parola di Dio trascende i legami famigliari».
Enzo Bianchi