LA MADRE DI GESU’ IN PAOLO
«Nato da donna» (Gal 4,4)
Maria non viene mai menzionata nelle lettere di Paolo, il quale incentra la sua predicazione e il suo messaggio sulla morte e resurrezione di Gesù Cristo e non ci trasmette dati significativi sulla vita di Gesù, e dunque nemmeno su Maria, sua madre. Notizie indirettamente interessanti potrebbero essere quella che attesta l'origine davidica di Gesù (Rm 1, 3-4) e quella che parla di Giacomo «fratello del Signore» (Gal 1, 19), ma in realtà t'unico riferimento di qualche rilievo si trova nella Lettera ai Galati: «Quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, affinché ricevessimo la figliolanza» (Gal 4,4-5). Poiché Paolo ha scritto la lettera ai cristiani della Galazia intorno al 55-56 d. C. (durante il terzo viaggio missionario) o forse, secondo qualche studioso, qualche anno prima, questa indicazione è la più antica annotazione riguardante la madre di Gesù nel Nuovo Testamento. Si tratta tuttavia di un’espressione non solo succinta e scarna, ma anche incidentale e inserita in un contesto cristologico. Il centro del messaggio non è Maria, di cui non è neppure ricordato il nome, ma l'invio di Gesù Cristo nel mondo da parte del Padre, evento che segna «il giungere della pienezza del tempo». La formulazione sovraccarica, che combina l'immagine della venuta con quella del riempimento (normalmente utilizzate separatamente per calcolare il tempo), conferisce solennità all'evento compiutosi nel tempo: si tratta dell'evento escatologico per eccellenza, la venuta del Messia. Questo evento così solenne, evento apocalittico che manifesta l'adempiersi del disegno di Dio sulla storia, si compie attraverso l'umanissima nascita da una donna appartenente al popolo d'Israele. L'espressione «nato da donna» rispecchia la formula ebraica jelúd 'ishshah (Gb 14, 1; 15,14; 25,4) che indica semplicemente la condizione umana, soprattutto
nella sua dimensione di fragilità. Colui che è «nato da donna» (nei vangeli è detto due volte di Giovanni Battista: Mt 11,11 - Lc 7,28) è un mortale, un essere limitato, segnato da finitezza. Più che un'espressione di portata mariologica, dunque, il testo ha un valore antropologico e cristologico: il Figlio di Dio è pienamente uomo. La specificazione successiva, «nato sotto la Legge», indica la particolare umanità di questo «nato»: è un figlio d'Israele, un ebreo. Attraverso un'espressione stereotipata, e dunque in modo indiretto, Maria appare connessa all'evento per cui il Figlio di Dio diviene appartenente alla condizione umana e al popolo ebraico, evento letto da Paolo in senso soteriologico, in quanto mira alla redenzione di coloro che erano sotto la Legge e al dono della figliolanza divina a ogni uomo, a ebrei e pagani. Piano teologico e piano letterario si incontrano nella figura dell'ossimoro, del paradosso: il Figlio di Dio nasce da donna alfine di conferire la filiazione divina agli uomini, l'inviato da Dio si sottomette alla Legge per riscattare quelli che sono sottomessi alla Legge. In modo discreto, come in penombra, Maria appare al cuore del paradosso cristiano: la kènosis, l’abbassamento del Figlio di Dio, il suo farsi povero, da ricco che era, per arricchire l'uomo con la sua povertà (2 Cor 8,9).
Enzo Bianchi