Liberi per vivere nella gioia - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...

Liberi per vivere nella gioia
6° Domenica del Tempo Ordinario anno C
(Ger. 17,5-8; sal.1;1Cor.15,12.16-20; Lc. 6,17.20-36)

Nel Vangelo delle  Beatitudini, possiamo leggere la vita, qui in terra, di molti cristiani convinti, che serenamente, nelle relazioni con gli altri, nelle scelte che compiono, nelle occupazioni quotidiane, testimoniano una “meravigliosa libertà del cuore”, che è il risultato della “povertà di spirito”: una libertà che non accetta di essere schiava di falsi idoli, come il culto del denaro o del piacere, dell’apparire, del potere o del successo. Una meravigliosa libertà da tutto e, in primo luogo da se stessi, per poter far posto all’amore di Dio e diventare dono ai fratelli. Una libertà che mentre tira fuori la parte migliore di te stesso, ti porta come frutto squisito la gioia. Essere beati, significa essere gioiosi, pacificati con Dio, con se stessi, con la vita, con tutti…anche in mezzo alle prove, alle contraddizioni, alle preoccupazioni. La “ricchezza” diviene una schiavitù quando non si dà pane a chi non ne ha, sorriso a chi è triste, comprensione a chi soffre, vicinanza a chi è solo, completando ciò che manca alla passione di Gesù, come direbbe S. Paolo. Se oggi viviamo una condizione economica difficile, con grossi problemi di occupazione e riduzione di stipendi, questo è dovuto a chi  ha fatto un uso spregiudicato delle proprie ricchezze, dei propri capitali, delle proprie risorse a danno di intere categorie di persone. E’ mancato il distacco da sé, è mancata la libertà del cuore, è mancata la mitezza che si traduce poi in senso della misura e di responsabilità, è mancata la compassione e la misericordia; e tutti siamo stati danneggiati. Il Vangelo delle Beatitudini è il Vangelo per il bene dell’umanità, per il bene comune. Il disprezzo delle Beatitudini non può che generare tristezza, conflitti, paure.  Quando il mondo non vive le Beatitudini, allora si imbatte in quei terribili “guai”, di cui parla Gesù. Così Paolo VI commentava il brano delle Beatitudini: “Beati noi se, poveri nello spirito, sappiamo liberarci dalla fallace fiducia nei beni economici e collocare i nostri primi desideri nei beni spirituali e religiosi e così abbiamo per i poveri riverenza ed amore, come fratelli ed immagine vivente di Cristo. Beati noi se, educati alla dolcezza dei forti, sappiamo rinunciare alla funesta potenza dell’odio e della vendetta ed abbiamo la sapienza di preferire al timore che incutono le armi, la generosità del perdono, l’accordo nella libertà e nel lavoro, la conquista della pace. Beati noi se non facciamo dell’egoismo il criterio direttivo della vita, e del piacere il suo scopo, ma sappiamo invece scoprire nella temperanza una fonte di energia, nel dolore uno strumento di redenzione e nel sacrificio la più alta grandezza. Beati noi se preferiamo essere oppressi che oppressori, e se abbiamo sempre fame di giustizia in continuo progresso. Beati noi se, per il Regno di Dio, sappiamo nel tempo e oltre il tempo, perdonare e lottare, operare e servire, soffrire e amare. Non saremo delusi in eterno” Quanti esempi viventi di queste beatitudini abbiamo nella storia della Chiesa: da San Francesco, che preferì sorella povertà alla ricchezza della propria famiglia, ai santi del nostro tempo. Il Cottolengo, a Torino, che assisteva quelli che la società riteneva sgraditi, affidandosi totalmente alla Provvidenza, fino al punto di chiedere ai suoi confratelli di dare ai poveri quanto avanzava e “tenere nessun soldo in cassa, la sera”. Antonio Rosmini, che era molto ricco a Rovereto e lasciò tutto, scegliendo come abitazione una cella di estrema povertà, che si può ancora visitare, oggi, al Sacro Monte Calvario di Domodossola. affermava con convinzione che “la povertà è il muro di sostegno della Chiesa”.
Quanta gente meravigliosa ho avuto modo di incontrare che, nelle beatitudini, a cominciare dalla povertà, ha trovato il segreto della felicità già qui in terra…perché la felicità è l’aspirazione di ogni uomo per vivere, ma per raggiungerla occorre il coraggio di fare terra bruciata di altro, che gioia non è. Come quella anziana meravigliosa che un giorno, in sacrestia, volle darmi tutti i “suoi risparmi”, perché affermava che “erano un ingombro alla presenza della felicità di Gesù che, quando venne sulla terra, era nudo e lo fu fino alla croce”. Come quel signore che, scrivendomi ed inviandomi per i poveri un assegno, mi disse: “Non mi lodi, la cifra sembra grande, ma è solo un graffio al mio egoismo e lentamente voglio levarmi tutta la pelle dell’egoismo che copre il volto della vita e non mi fa gustare la beatitudine vera”. Ho chiesto ad un sacerdote dell’Aquila, incontrato ad Assisi qualche giorno fa, quali fossero stati gli anni più belli della sua vita pastorale, mi ha risposto: “Questi del terremoto, perché avendo  perso tutto e vivendo in una tenda tra le tende, condivido tutto con tutti, povero fra i poveri, ultimo con gli ultimi. Adesso mi sento davvero prete, vero uomo di fede che ha posto solo in Dio la propria fiducia”


Don Roberto Zambolin


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