Lettera ai Filippesi - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Lettera ai Filippesi


La comunità dei cristiani di Filippi in Macedonia fu la prima Chiesa europea e con essa Paolo mantenne sempre rapporti molto intensi e calorosi. Ad essa indirizza una lettera mentre si trova in carcere (1,3.13; 4,22). Più che a Roma o a Cesarea Marittima, molti pensano che si tratti di una prigionia subita da Paolo dopo i tumulti di Efeso, descritti negli Atti degli Apostoli (capitolo 19).   Dalla città efesina egli scrive attorno al 55-56 (là aveva soggiornato a lungo, forse dal 53 al 56) agli amati Filippesi, che l'avevano sempre aiutato anche economicamente (4,14-18).

La lettera rivela, però, nel capitolo 3 un salto di tonalità, divenendo improvvisamente molto aspra e polemica ("guardatevi dai cani..., dai cattivi operatori..., da quelli che si fanno circoncidere"): c'è persino chi ha pensato che siamo in presenza di lettere diverse indirizzate ai Filippesi e successivamente unificate in un solo scritto. Possiamo, però, supporre anche un mutare di tono e di argomento nello stile spesso impetuoso dell'apostolo. La lettera si apre, comunque, con una pagina a grande respiro, in cui Paolo presenta la sua esistenza come totalmente consacrata a Cristo e al vangelo: "Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno" (1,21).

Di grande rilievo teologico è l'inno che viene incastonato in 2,6-11 e che sembra far parte del patrimonio della liturgia cristiana delle origini. Attraverso l'immagine della 'discesa" del Figlio di Dio nell'umanità fino alla morte di croce e della sua esaltazione nella gloria pasquale a Signore di tutto l'essere si descrive la salvezza offerta da Cristo, modello di donazione anche per il cristiano.

Nel capitolo 3, invece, appare - come già si era annunziato - la denuncia nei confronti di quei "cani" e "cattivi operatori" (3,2) che vogliono riportare i cristiani al loro passato di pratiche e osservanze varie: è la polemica frequente nell'epistolario paolino contro quei giudeo-cristiani che non tutelavano a sufficienza la novità dell'evento cristiano. Paolo sottolinea le sue radici untane e spirituali ebraiche (3,5-6), ma indica anche la svolta radicale che la sua vita ha subìto quando fu "afferrato da Gesù Cristo" (3,12) sulla via di Damasco. La lettera si conclude nel capitolo 4 con la ripresa di elementi autobiografici che si intrecciano con quelli riguardanti la Chiesa di Filippi. Ritorna il tono dolce, affettuoso dell'apostolo nei confronti della sua comunità, e brilla la gioia che deve animare il cristiano, anche quando ha l'esistenza tormentata: allora "il Dio della pace sarà con voi" (4,9).


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