La solidarietà con chi soffre - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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LA SOLIDARIETA’ CON CHI SOFFRE
7° Domenica del Tempo Ordinario
(Is.43,18-19.21-22.24b-25;sal.40; 2Cor.1,18-22; Mc.2,1-12)

Il Vangelo di oggi ci riporta a Cafarnao: lì Gesù era molto amato, per tutto il bene che aveva compiuto. E il bene continua. C’è come una strana euforia in città: giovani e anziani, uomini e donne, sani e malati, in tanti si dirigono verso la casa dove Gesù si trovava. E anche se solo un gruppo riesce ad entrare, il clima è comunque di festa. Nei loro volti si legge l’entusiasmo e la felicità per la presenza benedetta di quell’uomo. E tanta speranza. Sembra che costoro vivano le parole del profeta: “Non ricordate più le cose passate… Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43, 18-19). In questo contesto di entusiasmo collettivo, l’evangelista parla di un gruppetto di uomini che porta un malato davanti a Gesù. Sembra suggerire a noi, spesso distratti ed egocentrici, che i malati e i poveri hanno bisogno che qualcuno li aiuti, che stia loro vicino, che si interessi davvero della loro vita e della loro condizione. Questo gesto di portare il malato impotente a muoversi da solo, paralizzato (potremmo aggiungere: costretto su una carrozzella), combina forza e delicatezza, intelligenza e carità, intraprendenza e amore per la vita, tanto da creare una partecipazione profonda tra il malato che accetta di farsi portare e gli accompagnatori che si sono offerti di portare il peso del malato. Questa scena è in verità una bella rappresentazione della solidarietà che dovrebbe regnare nella comunità cristiana tra i vari membri: sentirsi portati, perché incapaci, nella vita e nella fede, di farcela da soli. E lasciarsi portare, lasciarsi aiutare, lasciarsi guarire, con umiltà e fiducia. Proprio come Cristo ha portato noi nelle nostre infermità e nelle nostre trasgressioni, ha portato il peso delle nostre vite piene di sofferenza, di dolori, di peccati, di contraddizioni(1Pt.2,24) e si è lasciato portare da quel legno, inchiodare su di esso! La croce di Gesù, non è solo “il prezzo dell’amore”, ma anche “il peso del suo amore infinito”. Dietrich Bonhoeffer, commentando l’espressione paolina di Gal 6,2 “Portate i pesi gli uni degli altri” scrive: “ La legge di Cristo è una legge del “portare”. Portare vuol dire sopportare, soffrire insieme. Il fratello è un peso per un cristiano. Solo se è un peso, l’altro è veramente un fratello e non un oggetto da dominare” Quel gruppetto di amici veri, non riuscendo ad entrare nella casa ove stava Gesù a motivo della grande folla, si arrampicano sul tetto, lo scoperchiano e con delle corde calano il malato davanti a Gesù. Davvero, l’amore non conosce ostacoli, fa trovare strade anche le più impensate! E così quel malato viene posto al centro di quella casa, al centro dell’attenzione. Gesù, appena lo vede, gli dice: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”(Mc. 2,5). Sono parole di perdono, ossia di un’accoglienza che tocca le radici della nostra vita. Quelle parole valgono anche per i presenti, valgono anche per ognuno di noi! Ma l’invidia acceca. Scribi e farisei non accettano il potere dell’amore di Cristo verso i più deboli, non tollerano l’autorevolezza dei suoi gesti di carità e della sua misericordia e temono di perdere la loro autorità di fronte al popolo. Quasi che per accostarsi alle miserie umane e consolare gli afflitti, o visitare e curare gli inferni, sia necessario un mandato particolare, e non sia invece costitutivo del nostro essere “persone umane” prima ancora che del nostro “essere credenti”. E se credenti, a maggior ragione! Tra i presenti c’è chi pensa che quell’uomo ha bisogno solo di salute, non di perdono, non di amore. Potremmo dire che è un caso sanitario o sociale da risolvere e non un fratello da amare fino in fondo. I malati e i poveri hanno bisogno di affetto e di amore, come tutti. Gli scribi di ieri e quelli di oggi, attenti solo a loro stessi, si scandalizzano di una misericordia così larga. Accettano anche che si dia qualcosa a quel malato, persino la guarigione, ma non il perdono. I cuori gretti non riescono a concepire una misericordia senza limiti. Gesù, invece, che ama senza confini, non dà solo un’elemosina a quel malato per poi andare via; si commuove e lo guarisce nel cuore e nel corpo; al perdono aggiunge la guarigione: “Ti ordino – dice al paralitico –, alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua”(Mc.2,11). La parola di Gesù compie il miracolo della guarigione totale. Quel malato aveva bisogno, come ciascuno di noi, di perdono e di guarigione. Del resto a che serve la salute fisica se si è cattivi nel cuore? “A che serve guadagnare il mondo intero, se poi si perde l’anima? (Mt.16,26) Il Signore ci invita a porre al centro dei nostri pensieri i poveri. E metterli al centro vuol dire sentirli come nostri fratelli. Non è a caso che Gesù usi il termine “fratello” per indicare sia i discepoli che i poveri, manifestando così un legame stretto tra la Chiesa e i poveri. Aveva ragione la gente di Cafarnao nel dire: “Non abbiamo mai visto nulla di simile”(Mc. 2,12)



Don Roberto Zambolin

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