La regalità dell'amore - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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La regalità dell'amore
34° Domenica del Tempo Ordinario anno B
Solennità di Gesù Cristo Re dell'Universo

(Dn 7,13-14;sal. 92; Ap.1,5-8; Gv. 18,33b-37)


Nella cultura dell’antichità, re  era colui che deteneva il potere legislativo, giudiziario ed esecutivo, colui che reggeva la vita di un popolo. Era il monarca assoluto, il solo a governare In Israele. Nella Scrittura la regalità appartiene solo a Dio: Egli è l’autore della vita, Egli guida il suo popolo, sempre alla testa dei suoi, Egli offre i comandi al suo popolo perché non si smarrisca e possa camminare per la retta via, Egli è giudice verso chi li disattende, pronto sempre comunque a ridare fiducia e speranza anche quando Israele sbaglia, in una misericordia infinita che mai viene meno. Un re di cui i re in Israele sono come rappresentanti in terra, suoi luogotenenti, suoi vicari, inviati a governare secondo le tre indicazioni ricevute: il diritto, la giustizia e la pace, la triade che definisce il modo con cui si esercita la regalità. Al tempo di Gesù, invece, non si danno più né re né regno, ma viva ne è rimasta la nostalgia quotidianamente pregata: «Venga il tuo regno». Vi era un
desiderio di una "nuova regalità", in una situazione religiosa, sociale ed economica disastrata; una attesa di nuova regalità a più facce: alcuni la auspicavano come intervento straordinario di Dio che elimini male e malvagi e istauri il suo regno di bene per i buoni; altri insistevano sulla necessità di qualcuno che facesse osservare la Legge rispettandone anche i dettagli; concezione questa cara agli scribi e ai farisei;  molti attendevano una presa del potere, anche senza escluderne il modo violento, che liberasse Israele in primo luogo dalla servitù romana, La proposta di Cristo si distingue per il suo annunciare che il Regno di Dio è vicino, tra di voi,anzi è dentro di voi. Che il Regno di Dio, non va atteso, perché è già venuto, agisce già nella vita e nella storia come seme nascosto che con potenza opera nel profondo dei cuori. Il Regno di Dio, per chi si apre a Gesù, senza preconcetti e condizionamenti, è vicino nei suoi gesti, nella sua parola, nelle sue azioni, nel suo modo di relazionarsi con la gente E’ nella persona del Figlio che la regalità di Dio ha fatto irruzione in Israele e nella sua vicenda umana. In lui che al termine della sua vita non teme di dichiararsi re, l’atteso Messia di Dio (Mt 21,5; Lc.19,38; Gv.12,13.15). Affermazione chiarissima nel dialogo Gesù-Pilato: «Sei tu il re dei Giudei…Dunque tu sei re?...Si, Io sono re» (Gv.18,33-37)). Gesù afferma di se stesso di essere re. Ma di quale regalità si tratta?: «Il mio regno non è di questo mondo…non è di quaggiù» (Gv.18,36). Pilato e i governatori della terra di ieri e di oggi non devono temere in Gesù un concorrente, e i discepoli di Gesù non possono essere equiparati a correnti politiche in corsa per governatorati umani di qualsiasi tipo (Gv.18,36). Il suo regno non è di "quaggiù", non è a livello mondano, fatto di interessi, di intrecci politici, non raramente di corruzioni per il potere Egli è Re sul piano della verità: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità» (Gv.18,37). Ma «Che cosa è la verità» (Gv.18,38), domanda Pilato. Biblicamente verità è una realtà che viene svelata, spesso progressivamente, per ciò che essa è in maniera solida e stabile da resistere all’usura del tempo, non soggetta a fluidità e transitorietà. Per l’evangelista Giovanni tale verità è la venuta di Dio nella storia del mondo, per mezzo di Gesù Cristo (Gv.1,17), da lui detta e attestata (Gv.8,40.45s; 16,7; 18,37), Di più: Gesù non è solo la via alla verità ma è Lui stesso la verità fatta carne: «Io sono la verità» (Gv.14,6). Di chi? Di Dio: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv.14,9) e dell’uomo: «Ecco l’uomo» (Gv.19,5), così profetizza di lui Pilato. Il Gesù di Giovanni legge dunque se stesso come uno generato da Dio e uno inviato da Dio, da lassù a quaggiù, a compiere "l’opera regale" della testimonianza alla verità. Sembra fare un appello Gesù e dire: "Voi genti che siete alla ricerca di Dio, donne e uomini alla ricerca del Dio nascosto: Io ne sono lo svelamento pubblico e universale nel mio dire, nel mio fare e nel mio morire e risorgere; in breve Io sono l’incarnazione della verità di Dio, non solo una delle sue molteplici manifestazioni. Donne e uomini, che siete alla ricerca  dell’uomo nascosto, della persona pienamente se stessa: io ne sono lo svelamento pubblico, io sono l’incarnazione della verità dell’uomo e non solo una delle sue molteplici manifestazioni. In questo sono re, il solo a cui è stato dato il potere di leggere in me la verità permanente di Dio come amore e la verità permanente dell’uomo come amato per sempre, per amare per sempre. Nel brano della crocifissione, ci viene detto che la croce è il pieno svelamento di Dio e della sua creatura  "fatta a sua immagine e somiglianza". Donando la vita per noi, Cristo ci rivela quanto è grande il cuore del Padre che ci ha creato: in esso tutti i suoi figli sono chiamati ad amarsi senza separazioni, senza lotte e divisioni. Nello stesso tempo, donando la vita per noi, Egli rivela pienamente l’uomo a se stesso: persona è colui che impara la stupenda, ma ardua arte dell’amore fino alla fine. In un "continuo esodo da se stesso" che lo può anche consumare, come Gesù in croce, in una continua offerta di riconciliazione, di fiducia, di perdono sempre rinnovati.


Don Roberto Zambolin


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