LA NOSTRA VITA TRA TERRA E CIELO
ASCENSIONE DEL SIGNORE
(Atti 1,1-11; Sal.46; Ef.4,1-13; Mc.16,15-20)
La solennità dell’Ascensione di Gesù avvicina, per così dire, il cielo alla terra. Mi torna in mente la domanda che mi fece un monaco di un monastero copto nel deserto, qualche anno fa, in un pellegrinaggio fatto in Egitto. Mi chiese: “Gli uomini di oggi pensano a sufficienza alla loro dimora permanente?” E continuò dicendo che per la maggior parte dei cristiani la vita nel cielo non è altro che un’appendice, un supplemento alla vita terrena ch’è invece ritenuta la vera vita stabile e permanente. La vita del cielo è considerata una specie di post-scriptum, l’appendice di un libro di cui la vita terrena è, appunto, il vero testo. La verità - concludeva il monaco - è esattamente il contrario. La vita sulla terra è solo la prefazione di quel libro il cui testo è la vita del cielo. Questa riflessione del monaco mi pare molto saggia. Tuttavia potrebbe suonare un po’ semplicistico dire che si pensa troppo a questa vita terrena e poco a quella celeste. Il problema è forse un altro e riguarda il modo in cui pensiamo alla vita sulla terra. E c’è da dire che purtroppo è un modo povero, riduttivo, in fondo privo di futuro e dunque di speranza. Tutti pensiamo che la vita terrena è una cosa e quella del cielo totalmente un’altra. In realtà, la Scrittura ci suggerisce una continuità della vita, come recitiamo nel Credo. Proclamiamo infatti: credo la “vita eterna” e non semplicemente credo la vita futura o dell’aldilà. E’ come dire che questa vita già da ora deve essere impastata di eternità, e lo è sia nel bene che nel male. Il paradiso e l’inferno iniziamo a costruirli da questa terra e su questa nostra terra e in questo nostro tempo. In tal senso, la nostra vita terrena sarebbe trasformata di molto se avessimo lo sguardo rivolto verso il futuro, verso l’alto, verso il cielo. L’Ascensione viene a mostrarci qual è il futuro che Dio ha riservato ai suoi figli. E il futuro è quello raggiunto da Gesù. Non siamo più immersi in una storia senza orientamento, vittime del caso o degli astri o di forze oscure e incontrollabili. E fanno tristezza coloro che scrutano i cieli (penso alla folla di scrutatori degli oroscopi...) in cerca di segni di protezione per fuggire la paura e l’insicurezza della vita.Il Signore asceso è Lui stesso il nostro cielo e la nostra sicurezza. Egli ci attrae verso il futuro che Lui ha già raggiunto in pienezza. Gesù, scrive Luca, al termine dei suoi giorni, dopo aver parlato ai discepoli, “fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo”.(Atti1,9) Fu un’esperienza straordinaria per quel piccolo gruppo di discepoli. Possiamo immaginare il misto di stupore e di tristezza per la separazione; tanto che rimasero a guardare il cielo. Mentre erano fissi in questa posizione, “ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”.( Atti 1,11)Normalmente si interpreta questo testo come una sorta di dolce, ma fermo rimprovero ai discepoli perché non si fermino a guardare le nubi del cielo, ma ritornino con il loro sguardo e soprattutto con il loro impegno nell’orizzonte della vita di tutti i giorni. Del resto non è stato Gesù stesso ad esortare gli apostoli, proprio un momento prima di lasciarli, dicendo: “andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15-20)? Tutt’altro quindi che restare a guardare il cielo.Ma c’è anche una verità nel tenere gli occhi fissi al cielo. Non che i cristiani debbano formare un gruppo di esoterici fermi a contemplare dottrine astratte, magari per evadere la complessa e talora durissima vita quotidiana. Tenere gli occhi fissi verso il cielo vuol dire tenere ben ferma la meta ove dobbiamo condurre noi stessi, il mondo, le nostre comunità e l’intera storia umana. Scriveva il profeta Isaia: “Nessun orecchio ha mai sentito e nessun occhio ha mai visto. ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano” (Is 64, 3). L’ignoranza del cielo che Dio ci ha rivelato rende senza senso e quindi amara e triste, violenta e crudele, la vita sulla terra. L’apostolo Paolo sembra insistere perché i credenti guardino oltre il presente: “La nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo” (Fil3,20). Egli per primo inaugura il nuovo futuro di Dio entrandovi con tutto il suo corpo, con la sua carne e la sua vita, che sono carne e vita di questo nostro mondo. Da quel giorno, il cielo inizia a popolarsi della terra o, con il linguaggio dell’Apocalisse, iniziano i nuovi cieli e la nuova terra. Il Signore li inaugura e li apre perché tutti possano prendervi parte, preceduti già dalla madre sua Maria, assunta anch’essa in cielo con il suo corpo.