LA NOSTRA FEDE TRA MILLE AMANTI
Terza Domenica di Quaresima
(Es. 17, 3-7; sal.94; Rom. 5,1-2.5-8; Gv. 4,5-42)
Fame e sete oltre ad essere bisogni primari della persona, rappresentano anche un simbolo delle sue diverse e molteplici esigenze. Infatti, anche quando riusciamo ad ottenere qualche risultato o qualche successo, non ci sentiamo mai sazi veramente, appagati del tutto. Avremo sempre fame, avremo sempre sete…Mentre soddisfiamo alcune esigenze, o desideri, od obiettivi, altro si fa strada in noi e chiede di essere saziato in quantità e in profondità. In realtà noi abbiamo sete…di infinito. Per questo solo Dio, il suo Amore, la sua Parola, la contemplazione in noi delle sue meraviglie, la sua misericordia grande e sempre abbondante possono darci la pace vera. Descrive molto bene questo, il salmo 63,2: “O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia , a te anela la mia carne come terra deserta, arida senz’acqua”. Tutte le seti umane, conducono, alla fine, ad una sola, quella fondamentale: la sete di amore; nel duplice movimento: di amore che si dona, e di amore che accoglie. Amare è una sete, che sta nel più intimo di noi stessi; per questo è capace di arricchire o di impoverire, di far gioire o intristire, di renderti bella la vita o di rendertela insopportabile; per questo è una sete essenziale, radicale, dalla quale dipendono tutte le altre seti umane. Nel testo della Samaritana l’amore che vuole essere donato è impersonificato da Gesù che, pur presentandosi come un viandante in cerca d’acqua per rinfrescarsi dopo un lungo tratto di strada sotto il sole, mette in atto un dialogo per persuadere la donna di Samaria ad aprirsi all’Amore misericordioso di Dio di cui Egli è donatore e del quale ella ha tanto bisogno. Mentre l’amore che brama di essere accolto, è impersonificato dalla donna stessa: per tanto tempo alla ricerca di un amore vero, cui affidare la propria vita, ma mai veramente trovato. Essa che adorava gli idoli sul monte Garizim, era ormai incapace di scoprire in Cristo quel Dio che la veniva a cercare e ad amare. Come noi. Quanti amanti abbiamo anche noi…e quanto poco spazio diamo a Cristo, nostro sposo! I mariti sbagliati non sono sempre quelli che abbiamo sposato, ma anche e soprattutto, a volte, le cose, i beni, le bramosìe, , i vizi, la doppia vita che conduciamo: cose tutte alle quali siamo legati a doppio filo…. in modo indissolubile. Il guaio è che , la persona umana o per la fatica del cercare, o perché non vuole davvero mettersi in discussione, o perché attratta da acque apparentemente più gustose, non coglie la sorgente dell’acqua pura, dell’acqua viva che la può dissetare senza farla ammalare o inquinarne il cuore. La samaritana ha fatto esperienza di più amori, di più legami, ma vuoti e deludenti, perché idolatrici. Non è, infatti, la quantità delle relazioni che sazia, ma la loro qualità e consistenza. La samaritana alla ricerca della felicità e come lo stesso popolo ebraico che camminava nel deserto sotto il sole cocente, cercando acqua per dissetarsi, sono immagini reali di ognuno di noi che, nell’arsura della vita, cerca una sorgente: sono ideali, punti di riferimento, valori significativi ai quali legarsi. Sono l’espressione della nostra inquietudine, di una ricerca che procede senza mai essere del tutto compiuta. Ma sono anche l’immagine del nostro cuore i cui tormenti, i cui bisogni, i cui desideri, i cui legami sbagliati a volte, dicono la voglia o la nostalgia insopprimibile di Dio. Non possiamo solo saziarci delle cose del mondo, perché “il mondo passa con i suoi desideri e la sua concupiscenza”.(1Gv.2,17) Le cose nel mondo, delle quali abbiamo giustamente fame e sete, non sono cattive, anzi, sono buone perché servono per il nostro benessere fisico e psichico; la salute, il desiderio di stima, di riuscita nella vita, le amicizie e altro, sono autentici doni di Dio. E vengono da Dio. Ma attenzione: non dobbiamo scambiare la creatura con il Creatore, il frutto dell’amore, con l’Amore stesso, la sorgente con il flusso delle acque. S. Agostino esprime bene questo rischio, nelle “Confessioni”, quando afferma: “ Mi tenevano lontano da Te quelle creature che se non fossero in te nemmeno esisterebbero”. Non rifiutiamo certamente in modo esplicito, consapevole, la vita di Dio e quanto la può alimentare: come la preghiera, la Parola, i Sacramenti, gli spazi di silenzio per stare con Lui da cuore a cuore; anzi, forse ne comprendiamo la necessità e la bellezza. Ma quando ci attacchiamo a tutto ciò che è meno di Lui, allora cose e persone finiscono per diventare come delle sanguisughe: pian piano succhiano tutte le nostre energie amorose. E ci la sciano dentro molta sete, tanta sete….e tanta delusione. Per dissetarci veramente, non ci rimane che attingere, con la brocca della fede, ad un pozzo ricco e profondo d’acqua viva: Gesù Cristo. E la festa tornerà a zampillare in noi.