La fede alla prova del dolore - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...

LA FEDE ALLA PROVA DEL DOLORE
5° Domenica del Tempo Ordinario
(Gb 7,1-4.6-7; sal. 146; 1Cor.9,16-19.22-23; Mc. 1, 29-39)

L’evangelista Marco apre il suo Vangelo narrando la prima giornata di Gesù a Cafarnao. È come una “giornata tipo” di Gesù: ricca di gesti di amore, di accoglienza, di attenzione ai deboli, ai poveri, ai malati. Gesù per questo è amato e benvoluto da tutti. Per questo quella giornata di Cafarnao ci appare subito molto diversa dalle nostre giornate, segnate spesso dalla monotonia, dalla tristezza, dalla banalità, e talora dal non senso. Quando viviamo la vita, nelle varie situazioni in cui ci troviamo, come opportunità per fare del bene, per dire una buona parola, per esercitare la compassione; quando ascoltiamo i deboli o ci avviciniamo ai lontani portando Gesù con la nostra umile carità, allora le nostre giornate ci danno un senso di bellezza e di pienezza, allora cogliamo che la nostra presenza nel mondo non è inutile, ma è come un segno luminoso che noi lasciamo nel cuore e nel ricordo della gente. Allora siamo, come dice Paolo: “ Il buon profumo di Cristo”(2Cor.2,15) che passa e sana tutti. Nessuno di noi dovrebbe terminare la propria giornata senza aver avuto qualcuna/o da amare, da consolare, da aiutare. Ma, a volte, può capitare che la durezza e la drammaticità della vita prendano il sopravvento e le persone non trovino né pace né consolazione, e manifestino anche una ostinata resistenza a lasciarsi aiutare e consolare. Sono questi i momenti in cui più intensa deve farsi la nostra preghiera affidando al Signore la vita e la storia, dolorose, di tante nostre sorelle e fratelli di fronte ai quali ci sentiamo come impotenti. Se poi il nostro sguardo si allarga verso le persone che sono più direttamente toccate dalla violenza fisica e psichica (pensiamo ai numerosi episodi di violenza a danno delle donne e dei bambini che si sono verificati in questi ultimi giorni) oppure sono toccati dall’ingiustizia e dalla guerra (di quelle note e delle non poche altre, magari più limitata ma di cui nessuno parla), il lamento di Giobbe assume un valore ancor più tragico: “A me sono toccati mesi di illusione e notti di dolore mi sono state assegnate. Se mi corico dico: quando mi alzerò? Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi sino all’alba... Ricordati che un soffio è la mia vita; il mio occhio non rivedrà più il bene”.(Gb. 7,1-7) La vita degli uomini è davvero dura, difficile, complessa ci dice questo testo della Scrittura: per questo spesso siamo delusi, scoraggiati, abbattuti. Capita, allora, che ce la prendiamo perfino con Dio; anzi, soprattutto con Dio! Non dobbiamo meravigliarci di questo: anche per un credente è legittimo protestare e arrabbiarsi con Dio nei momenti più cruciali della vita.. Giobbe si ribella alla situazione di disgrazia che si è abbattuta su di lui e grida a Dio la propria rabbia: Giobbe arriverà a lottare con Dio, a discutere con Lui rimproverandolo persino di averlo messo al mondo, a mostrare aggressività anche verso i suoi amici che tentano di convincerlo che, sé è malato, è perché Dio lo ha punito per qualche peccato commesso, anche se non lo ricorda: insomma, vogliono difendere Dio a tutti i costi! Giobbe esprime con un linguaggio umano, ricco di forti sentimenti ed emozioni, ciò che lui sente. Anche il malato esprime talvolta con urli di rabbia e di dolore ciò che sta avvenendo nella propria vita. Ed è un momento positivo, in quanto è il primo passo di un possibile cammino di guarigione, o quanto meno di “presa in consegna” della propria malattia: il malato lotta, chiede “perché?”, inveisce, non si rassegna , non la dà vinta al male. Questa presa di parola di fronte al male, non va soffocata da chi sta accanto al malato con esortazioni al silenzio o a “non dire così” o a non disturbare, ma va accolta come un momento importante di quel faticoso processo di “elaborazione” di una crisi esistenziale che si è introdotta nella sua vita. E’ sempre Giobbe che ce lo testimonia:“Per il malato c’è la lealtà degli amici, anche se rinnega l’Onnipotente”(Gb.6,14);Per il malato c’è la pietà degli amici, anche quando Dio si mette contro di lui”(Gb.19,21) . L’incontro di Gesù con i malati di ogni genere, come narra la pagina evangelica, è significativo per un discorso cristiano attorno alla sofferenza. Gesù non predica rassegnazione, non chiede di offrire la sofferenza a Dio, non dice mai che la sofferenza, di per sé, avvicina maggiormente a Dio, non nutre atteggiamenti…doloristici. Gesù invece lotta contro il male, cerca di farlo arretrare, di ridare salute all’uomo. Si presenta come medico (Mc. 2,17) delle anime e dei corpi, annunciando il Vangelo del Regno come “evento di salvezza” che guarisce e libera. Nella malattia, nella sofferenza, nel dolore, Dio si avvicina a te, ti prende per mano attraverso la sua Parola, ti parla, ti accompagna, ti sostiene, ti dà speranza, ti invita a guardare avanti, ti fa capire che la salute dell’anima e la guarigione del cuore sono beni preziosissimi che possono sostenere l’uomo anche nelle sue malattie fisiche; che la preghiera nella malattia dà pace e sereno abbandono alla sua Volontà.. Che soprattutto la malattia, il dolore, la morte non sono la distruzione dell’uomo. Perché la Parola di Dio contiene la promessa di un grande Amore: tu risorgerai!


Don Roberto Zambolin


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