L'infinita misericordia di Dio: E noi? - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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L'infinita misericordia di Dio: E noi?
4° Domenica di Quaresima anno C
(Gs.5,9aa.10-12;sal.33;2Cor.5,17-21;Lc.15,1-3.11-32)


Molti di noi, conoscono la parabola del Vangelo di questa domenica come "La parabola del figliuol prodigo", per via di quel figlio minore che "sperpera tutti i suoi beni vivendo da dissoluto"(Lc.15,13). Titolarla come "la parabola del figliuol prodigo" la impoverisce: innanzi tutto perché le ruba il vero protagonista che è il Padre, quel Padre, questo davvero sì, veramente prodigo in amore; e, secondariamente, perché cancella la figura dell'altro figlio, il figlio maggiore: i figli della parabola sono infatti due. Una parabola suggestiva dentro un cammino, quello di quaresima, che chiama tutti - me per primo - a conversione, cioè a ritornare a casa, a ritornare alla verità su se stessi, alla propria dignità di persona, fuori dalle innumerevoli diminuzioni in umanità. Per un credente ritrovare la bellezza e la verità su se stesso, la sua identità di persona creata e amata, è un invito ad essere sempre più conformi all'immagine di Dio che lo abita. Dove inizia un cammino di conversione? Il Vangelo è sconcertante: inizia da un banchetto, il banchetto dei peccatori.(Lc.15,2) È scandaloso vedere questa famigliarità e amicizia di Cristo con i ladri, le persone adultere, le prostitute, ma questo è il vangelo: una proposta di vita, di servizio, di accoglienza e di amore indecente e scandalosa!. E se togli questo scandalo al vangelo, togli l’anima del vangelo stesso, togli la buona notizia, che non è: Gesù mangia con le persone per bene. Buona notizia invece è che Gesù "riceve i peccatori e mangia con loro".Lc.15,3) Con i peccatori, capite. Se avesse mangiato con i convertiti, tutti si sarebbero rallegrati con lui. Scandaloso un amore, quello di Dio, non misurato sulle prestazioni. Dice il figlio maggiore della parabola: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito i tuoi comandi, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio, che ha divorato i tuoi averi con le prostitute, è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso". (Lc.15,29-31) L'amore incondizionato scandalizza il figlio maggiore, il figlio che sognava una paternità misurata sulle sue prestazioni, sui suoi meriti che vantava davanti a quel Padre. Quel figlio maggiore, invece di servire suo Padre nell’umiltà, nella sincerità e nell’amore gratuito e disinteressato, gli presenta ora con ingratitudine e con rabbia il conto! Aveva chiuso l'amore del Padre nella gabbia dei calcoli di una giustizia umana: a tanto tanto, a meno me-no, in una rigida e senza senso proporzionalità. Che quel figlio minore se ne sia andato da casa proprio perché non poteva più sopportare l’orgoglio, la presunzione, la prepotenza, il senso di superiorità del fratello maggiore? A volte mi verrebbe proprio da pensarlo… Comunque, al di là di tutto, al di là della fuga da casa, al di là dei meriti - una logica che segna pesantemente ancora tanta par-te delle nostre osservanze religiose - quello è un suo figlio, inestricabilmente suo figlio. Ed è questa comunione di sangue e d’amore che il Padre tenta dì spiegare a quel figlio, quello maggiore, che si era rifiutato di prendere parte alla festa e che lo aveva messo sotto accusa: "Questo tuo figlio, che ha divorato i tuoi averi con le prostitute...".(Lc.15,30) Come se volesse tirarsi fuori da un rapporto: "il tuo figlio". E il padre di rimando: "Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita".(Lc.15,32) Forse è questa la conversione cui siamo chiamati. Paradossalmente quella più difficile. Secondo la parabola è più facile che ritorni a casa chi se n'è andato, chi si è degradato come persona e come figlio, perché si rende conto maggiormente dell’immenso amore del Padre che lo accoglie e lo riveste di bontà e di bellezza, senza giudicarlo e senza voler nulla in cambio. Anzi il figlio che torna si commuove per un Padre che non lo degrada a servo: "Trattami come uno dei tuoi garzoni".(Lc.15,18) Più difficile far rientrare la durezza che spesso abita quelli di casa: rimangono fuori dalla casa della misericordia, il Padre esce a invitarli ma essi non vogliono entrare. Che si sia convertito il figlio minore, il dissoluto, è confermato dalla parabola. Che si sia convertito il figlio maggiore non è detto.. il brano evangelico non dice come sia andata a finire: se sia rimasto in casa con il fratello minore e con il Padre : c'è da augurarselo! Era stato nella casa di quel Padre una vita e non aveva intuito minimamente il segreto del volto dì suo Padre; un Padre esagerato nella fiducia, che non sta, come spesso facciamo noi, a precisare, a calcolare. Forse noi avremmo avanzato qualche dubbio sul ritorno di quel figlio. In fondo, ci saremmo detti, non era un ritorno poi così disinteressato, ritornava per fame. E invece il Padre lo veste, così come Dio vestì Adamo ed Eva nel giardino, li vestì nella loro nudità, nella loro povertà, nel loro peccato di orgoglio e di superbia che li aveva degradati. Con la stessa tenerezza il Padre della parabola riveste il figlio che torna a casa. C'è da chiederci se siamo figli di questo Padre, se ancora, come Gesù, siamo capaci dello scandalo "buono", quello della tenerezza, lo scandalo di Gesù. O se, invece, siamo noi a scandalizzare, come chiesa e credenti, perché creiamo divisioni tra chi è dentro e chi è fuori, tra i giusti e chi moralmente non è in regola (ma che ne sappiamo noi chi è o chi non è "in regola" davanti a Dio?) per i requisiti che pretendiamo a chi vorrebbe rientrare al banchetto, dimenticando la cena di Gesù e l'accusa a lui fatta, ma buona notizia per tutti:" Egli riceve i peccatori e mangia con loro".(Lc.15,2)


Don Roberto Zambolin


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