L'amore finto e l'amore vero - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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L’AMORE FINTO e L’AMORE VERO
( 1 Re 17,10-16; salmo 145; Ebrei 9,24-28; Mc. 12,38-44 )
TRENTADUESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Il Vangelo di oggi, propone, con una concretezza visiva, l’applicazione alla vita del brano evangelico di domenica scorsa: che cosa è e che cosa non è amore, verso Dio e verso i fratelli. Che cosa non è amore: lo troviamo descritto in Mc. 12,38-40 a proposito del comportamento degli scribi. Gli scribi erano delle persone esperte nella legge giudaica, capaci di studiare e capire a fondo i testi delle Scritture, insegnanti della tradizione biblica, abili giuristi nell’ applicare ai casi concreti le norme legali. Gli scribi erano persone preparate, erano teologi, studiosi. Eppure….Gesù li presenta come veri e propri atei! Infatti mette la gente in guardia dalla loro ipocrisia: costoro hanno ridotto la Scrittura ad un dato culturale, ma la medesima Parola di Dio non passa nella loro vita; al contrario: invece di servire Dio e i fratelli, attingendo dai testi biblici motivazioni vere e autentiche per il loro comportamento, si servono di Dio e delle cose che conoscono attorno a Dio per essere serviti e riveriti. Gesù, pertanto, come del resto avevano fatto anche i profeti, ricorda che si può essere pii e omicidi nello stesso tempo, religiosi e impostori, zelanti e crudeli, teneri e oppressivi verso i più poveri, “divorano le case delle vedove”(Mc.12,40), devoti e lussuriosi, ambiziosi e persone di preghiera.. Gli scribi, infatti, fanno della vita di fede una “sfacciata esibizione”: amano essere osservati dagli uomini, primeggiare, curare l’esteriorità, senza rendersi conto che la fede si alimenta di una vita interiore umile e profonda, di una vita spirituale che è offerta di se stessi a Dio, il cui volto è riconoscibile in quello dei fratelli, di tutti i fratelli e di tutte le sorelle. Gli scribi, per interesse e per un atteggiamento narcisistico della loro persona, centrato su di sé, sulla propria gloria e potere, dimenticano questa dimensione della fede e vivono in un orizzonte praticamente ateo: infatti il riferimento decisivo della propria vita, non è Dio, ma gli uomini. Marco ci dice esplicitamente che la folla riconosce Gesù come un vero maestro con queste parole: “ Ed erano stupiti del suo insegnamento,perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi”(Mc. 1,22) L’evangelista lega direttamente il verbo insegnare non tanto ai contenuti trasmessi, quanto alla coerenza di Gesù, al contrario di quello che manifestavano gli scribi. Gesù, in altre parole, insegnava con la propria vita. Per questo motivo, Gesù, ha uno sguardo profetico su tutto quello che sta capitando attorno a Lui nel Tempio: mentre guarda “come” la gente getta monete nel Tempio, egli sa vedere ciò che gli altri non vedono ( in genere si osservano sempre di più ciò che fanno i ricchi….) o sa vedere in modo diverso, ciò che gli altri vedono (l’offerta della vedova era tutto ciò che aveva per vivere…) Gesù, in altre parole, vede l’offerta gradita a Dio nel dono povero della vedova, che getta due spiccioli, mentre vede il dono del superfluo nelle offerte abbondanti e tintinnanti dei ricchi. Da notare che queste offerte che si raccoglievano in alcuni recipienti posti all’interno di una grandiosa sala del Tempio fatta costruire da Erode e chiamata “sala del tesoro” e che servivano per raccogliere le imposte per il Tempio stesso, erano ben visibili a tutti, perché si esercitava su di esse un certo controllo da parte dei funzionari del Tempio; tutto questo costituiva per i benestanti una buona occasione per mettersi in mostra, mentre diventava fonte di umiliazione per i poveri che avevano poco da offrire… Il testo del Vangelo, dunque, ci interpella nell’amore come dono di sé, anche quando c’è di mezzo il denaro; dobbiamo verificarne, pertanto, nella nostra vita il distacco, la vera utilità, i capricci dei quali possiamo fare a meno, donando anzi qualche cosa dei nostri beni e non del superfluo, a chi è in situazione di disagio, di povertà, di emarginazione. Ma è parimenti importante, avere questo sguardo limpido e chiaro sui vari “gesti liberali” che compiamo o vediamo compiersi nella nostra chiesa: che sappiamo discernere la vera carità, da ciò che è invece adulazione; che sappiamo intuire l’ipocrisia dove altri vedono e ammirano generosità; che sappiamo vedere il bene dove altri non vedono nulla o in ciò che altri ritengono inutile o non degno di essere preso in considerazione, come possono essere i due spiccioli della vedova del Vangelo. Il testo di oggi, insomma, interpella ogni credente sul come dona:“Dio ama chi dona con gioia (2Cor.9,7).Chi dona con gioia, infatti, trova la sua ricompensa non nello sguardo ammirato degli uomini, ma nell’amore di Dio. Donare diventa così esperienza dell’ essere amati da Dio più che espressione di protagonismo di amore… Quest’ultimo, infatti, quando finalizzato a sé, sarebbe solo un finto amore.


Don Roberto Zambolin


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