L'amore di Dio? Un roveto di fuoco - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...

L'Amore di Dio? Un roveto di fuoco
3° Domenica di Quaresima anno C
(Es 3,1-8a.13-15 Sal 102 1 Cor 10,1-6.10-12-Lc 13,1-9)


Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?" (Es.3,7) Perché il roveto non brucia? Una delle tante interpretazioni che davano i rabbini a questo testo, di rara suggestione, dice che il roveto è il popolo di Israe-le, un popolo tra le spine, un popolo nell'afflizione. E la fiamma, la fiamma che arde, che avvolge con il suo calore, con la sua forza tale roveto è Dio: il Dio A-more, il Dio con te; anzi: il Dio in te, dentro le tue spine, le tue afflizioni, le tue sofferenze; un Dio vicino al suo popolo che soffre drammaticamente. Non fuori, ma dentro, e dentro per sempre. “Ho osservato la miseria del mio popolo in E-gitto e ho udito le sue grida… sono sceso a liberarlo”(Es.3,7-8) E non è forse questo il senso misterioso del nome che Dio svela? "Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: il Dio dei nostri padri mi ha mandato a voi. Ma essi mi diranno: come si chiama? E io che cosa risponderò loro?". "Dirai agli israeliti: 'Io sono' mi ha mandato a voi."(Es.3,13-15) Il nome di Dio è: "Io ci sono", ci sono per voi, sono nella vostra storia, così come sono stato nella storia dei vostri padri. Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Io non mi ritiro. Io ci sono per voi. Sono il fuoco, il fuoco d’amore nelle vostre spine: le brucio e vi rassereno il cuore. Ecco noi, oggi, in questo tempo di Quaresima, terra sacra, terreno fertile di cammino verso la santità della vita, come Mosè ci avviciniamo al roveto che arde, che arde non più oggi sul monte Oreb ma là sul calvario. Noi saliamo là per la Pasqua, per vedere il roveto che arde, per vedere quella croce di legno che brucia d’amore, e vedere in essa, colmi di stupore, fino a che punto è arrivato "l'esserci di Dio", l’amore di Dio, la carità di Dio per noi. Io ci sono. Io ci sarò fino al punto di soffrire e di morire come uno di voi. “Non c’è amore più grande di questo, dare la vita per le persone che si amano” Sul Calvario, in quella croce, roveto che arde di fuoco d’amore che mai si consuma, possono trovare sostegno le nostre vite, conforto le nostre sofferenze, speranza le nostre delusioni, purifi-cazione i nostri peccati, vita eterna la nostra morte. E anche l’Eucaristia, memo-riale del sacrificio di Cristo, è roveto che arde per noi ogni domenica, fino alla fine dei tempi. Ripercorrendo il brano dell'Esodo mi ritorna alla mente e al cuore un commento del cardinale Carlo Maria Martini che sottolineava con acutezza come nel testo affiori un atteggiamento dello spirito di Mosè: la sua curiosità. Mosè non è talmente assorbito dal suo mestiere di pastore, da non osservare ciò che sta oltre: egli s'interroga su ciò che vede, si mette in cammino per scoprire e capire il senso di ciò che sta avvenendo. Non registra semplicemente i fatti, gli eventi, cerca di interpretarli. La curiosità dello spirito, l'abitudine ad interrogarsi, a interrogare Dio, noi stessi, gli altri, la storia, al di là di ogni presunzione di sa-pere, è condizione decisiva per uscire dalla falsa pace delle coscienze che ha co-me effetto mortifero quello di narcotizzare noi stessi e di conseguenza le situa-zioni in cui viviamo: "Voglio avvicinarmi a vedere": il primo passo è mettersi in cammino, uscire dalla condizione di sedentari dello spirito. In questa luce po-tremmo forse anche leggere l'avvertimento di Gesù nel vangelo di Luca, un av-vertimento che risuona come duro monito. Avvengono - sembra dire Gesù - fatti che potrebbero, dovrebbero, risvegliare le coscienze e chiamare a conversione, e voi li impoverite riducendoli a puri fatti di cronaca, tema dei vostri salotti del nulla. Con il vostro pessimo gusto di addossare agli uni o agli altri la colpa, sen-za minimamente mettere in questione voi stessi. Cade una torre, quella di Sion, ne muoiono diciotto e voi che cosa pensate? Che quelli fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? Si è sordi, si è ciechi, si è addormentati e non si coglie il vero messaggio che parla, a volte grida, dai fatti della storia e che è un appello urgente alla nostra conversione. Forse alcuni di noi oggi, leggendo del crollo della torre di Siloe, saranno andati col cuore e con la mente dentro le im-magini di un altro crollo, quello di due torri, di un 11 settembre, dopo il quale - così si diceva - nulla sarebbe stato più come prima. Ma di quelle torri abbiamo fatto semplicemente occasione di cronaca, occasione di dibattiti, di salotti. Non abbiamo percepito l'appello alla conversione che lo abitava."Se non vi converti-rete" - dice Gesù - "perirete tutti allo stesso modo". E non perché Dio mescoli sangue a sangue, non perché Dio faccia crollare le torri, ma perché le due grandi torri: quella della vita di ciascuno di noi e quella della nostra società, sono fonda-te come casa sulla sabbia e, dunque, non hanno altro esito possibile se non quello di un crollo pauroso. "La sua rovina" - è scritto della casa - "fu grande" (Mt 7, 27). Non perché Dio voglia il nostro male,il nostro disastro, ma perché dentro un co-stume, un modo di pensare e di vivere, di massificare che addormenta le co-scienze non sappiamo più interrogare né Dio, né noi stessi, né i segni del tempo. Per fortuna che, a smuoverci dalla durezza di cuore c’è la sua invincibile pazien-za, la invincibile pazienza del padrone della parabola. Nonostante tutto: "lascialo ancora quest'anno". E tu, Dio, zappi intorno e metti concime in questa nuova quaresima, di questo anno! E attendi che io, che noi, che questa terra porti final-mente frutto. Tenteremo a lungo la pazienza del nostro Dio?


Don Roberto Zambolin


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