L’amore ci rende missionari
(Es.22,21-27; Sal.17;1Ts.1,5c-10; Mt.22,34-40)
Domenica XXX del Tempo Ordinario
L’amore è il tema della liturgia di questa domenica. A dire il vero l’amore è, innanzitutto, il cuore della vita della persona, di ogni donna e di ogni uomo. L’eccesso di amore, infatti, o la forte povertà di esso, crea i più gravi e seri problemi psicologici della persona. Proviamo a chiederci: come è vissuto oggi l’amore nelle nostre famiglie? Tra gli stessi coniugi e tra costoro e i figli? E tra due innamorati? Tra amici? Tra di noi? Ciò che ci appare è la precarietà. L’uomo, infatti, sperimenta la fragilità del suo modo di amare, perché anche l’amore più puro e più sincero conosce il limite, l’incertezza. E’ soggetto agli sbalzi emotivi e imprevisti del tempo che passa, dei cambiamenti della persona. Deve fare i conti con…la concorrenza di tanti altri amori…L’amore per rimanere vivo deve sempre essere detto, rinnovato, rivissuto nella vita di tutti i giorni. Diciamocelo con franchezza: amare è faticoso e ci espropria, ci butta fuori da noi stessi. Spesso amare è vivere, almeno apparentemente, la propria vita….in perdita. Amare è dare la vita, amare è morire per l’altro. Diceva Lutero: l’amore ti uccide. Questo per quello che riguarda l’amore per le persone con le quali condividiamo qualche cosa della nostra quotidianità. Che dire, allora dell’amore verso i poveri, gli ultimi, gli emarginati, verso coloro ai quali nessuno pensa? La prima lettura di oggi, tratta dal cap.22 dell’Esodo, ci parla dell’amore di Dio partendo dai poveri. I forestieri, in Israele, erano generalmente poveri, perché non erano proprietari di alcun bene e vivevano di ciò che ricevevano dalla gente del paese dove essi trovavano rifugio. Così pure le vedove e gli orfani: era il tipo di gente che viveva nel bisogno, non possedendo un reddito sicuro ed essendo, forse per questo, perché deboli, esposti a maltrattamenti, a ingiustizie, ad insicurezze. Era abbastanza ovvio che, in queste condizioni, i poveri ricorressero anche ad un prestito, impegnando quel poco che avevano, compreso il mantello che serviva loro per la notte, ed è facilmente immaginabile che ci fossero delle persone che ne approfittavano. E’ in questa situazione che Dio si presenta come il vindice dei poveri, Colui che ne ascolta il grido e si schiera dalla loro parte. Oggi: chi pensa a costoro? Chi si schiera dalla parte dei poveri? Chi si cura, senza secondi fini, di fare qualche cosa per sanare tante ingiustizie, tante povertà, tante forme di disuglianza economica e sociale? E i cristiani che cosa fanno? Da che parte stiamo: dalla parte dell’amore di Dio o dell’amore per mammona? Dalla parte di chi sta meglio o di chi sta peggio? Dalla parte della vittima o del carnefice? Dalla parte di chi perpetua le ingiustizie a danno dei poveri o di chi lavora per la loro promozione e il loro riscatto? Un amore che ha la misura di Dio, è per ciò stesso senza misura. Che cosa significa per noi battezzati, “amare Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”? Certo, è difficile che passi l’amore verso i più poveri, se ci dimentichiamo di far vivere in noi una mentalità d’amore che ci renda attenti a tante piccole necessità e povertà che ci girano attorno ogni giorno. Il nostro amore per gli altri e l’attenzione verso chi è in difficoltà è messo in crisi dalle faccende da cui siamo presi ogni giorno, distratti dagli impegni, divisi tra le preoccupazioni dell’ufficio, dei figli, delle bollette da pagare, e delle mille cose a cui pensare. A volte sembra impossibile trovare il tempo per vivere rapporti gratuiti d’amore persino in famiglia, con gli amici, in parrocchia. Per non dire la fatica che facciamo a trovare uno spazio dedicato a Dio solo, per amarlo e servirlo come a lui conviene! Eppure se vogliamo avere l’acqua dell’amore dobbiamo attingerla alla sorgente purissima dell’amore, che è Dio. Dobbiamo chiederla a Lui. Dare tempo a Dio, non è tempo sprecato ma è fare il pieno dell’amore, per poi travasarlo nella vita di ogni giorno. In fondo Gesù ci ricorda che i due comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo, vanno di pari passo. Senza quello di Dio il nostro amore rischierebbe di diventare un umanesimo, buono fin che si vuole, ma esposto ai rischi della natura umana, impossibile da gestire, a volte, di fronte alla complessità delle situazioni, povero di gratuità e di libertà. Senza l’amore del prossimo il nostro amore verso Dio o è illusione o è ipocrisia. Giusto per stare tranquilli in coscienza. Se solo imparassimo a fare tutto alla sua presenza e a vedere nelle nostre sorelle e nei nostri fratelli Cristo stesso che chiede di essere accolto da noi; se vivessimo la nostra vita come liturgia del quotidiano, ritmata dalla preghiera al mattino, alla sera, ai pasti. Se imparassimo a vivere una spiritualità della famiglia che si realizza in quella frase : “ dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono con loro”; allora vivremmo alla presenza di Dio perché la presenza di Dio è amore. Dobbiamo scoprire come l’amore crea una forte unità, perché capace di superare la frammentazione della nostra vita. Vivere atteggiamenti d’amore e di tenerezza in ogni situazione: la nostra vita ne uscirebbe più unificata. Se così fosse, a nostra stessa insaputa, diventeremo dispensatori di un bene che fa notizia. In fondo è così che era successo ai cristiani di Tessalonica, i quali non erano tanto impegnati a fare grandi proclami, quanto piuttosto a resistere con fede nelle tribolazioni, a convertirsi con prontezza rinunciando agli idoli. L’amore non si impara, si respira. L’amore è l’alito del cristiano: il respiro stesso di Dio del quale egli vive e con il quale aiuta a vivere anche gli altri. L’amore è la vera anima della missione.