Il primo giorno della settimana - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Il primo giorno della settimana
( At. 10,34.37-43; sal.117; col.3,1-4; Gv. 20,1-9)
2° Domenica di Pasqua

Nei nostri abituali ritmi di vita, espressioni anche di una cultura che li genera, abbiamo ormai ben caratterizzato il fine settimana: il sabato è il giorno “libero”, perché, per tanti, la settimana lavorativa termina il venerdì; la domenica è il giorno del riposo e della svago, il lunedì è il giorno della ripresa delle attività lavorative. Anche se, a ben riflettere, ormai il binomio riposo - lavoro non è più ben definito e strutturato nel corso della settimana, poiché anche la domenica sta diventando giorno lavorativo a tutti gli effetti. Questo con grandi conseguenze non solo sulla salute psicofisica, ma anche sul modo stesso di pensare l’esistenza umana riducendo la persona ad “homo oeconomicus”. A questo si aggiunga la reale difficoltà e incapacità di trovare il tempo per il riposo, riducendo, di conseguenza, gli spazi per la riflessione, la meditazione, la contemplazione, la gestione di rapporti interpersonali gratuiti. Il rischio è che le relazioni fra le persone si identifichino o con gli incontri lavorativi o con aggregazioni comunque interessate a ottenere qualche cosa. Infine, ed è il rischio più grave per dei cristiani, di snaturare il significato autentico della domenica. ( dies dominica = giorno del Signore) durante il quale noi facciamo memoria vivente del Signore risorto nella celebrazione del banchetto pasquale, l’Eucaristia, attorno al quale si trova riunita tutta la comunità. Il Vangelo di oggi, infatti, ci presenta l’incontro con il risorto nella periodicità degli otto giorni: prima “il giorno dopo il sabato” ( e non c’era Tommaso) poi “otto giorni dopo” ( e c’era Tommaso). Questo a significare che non è indifferente per la nostra maturità di fede la partecipazione alla vita comunitaria. La domenica infatti, Pasqua della settimana, non è una festa come le altre: è la festa senza la quale non potrebbe esistere la chiesa e non potrebbero esistere i sacramenti, perché tutti traggono la loro origine dalla Pasqua, dalla vita del Signore morto e risorto. Per cui l’espressione del Qoelet: “ Niente di nuovo sotto il sole”, che sotto certi aspetti nasconde una profonda verità, svanisce di fronte al giorno di Pasqua, perché qualche cosa di profondamente nuovo è capitato nella storia dell’universo. Oggi, purtroppo, la domenica non è più ritenuta giorno centrale perché si fa memoria del Signore risorto, perché si partecipa da sorelle e fratelli, divenuti tali non per opera della carne, ma in virtù dello spirito ricevuto in dono nel Battesimo, alla stessa mensa; o perché ci si nutre più abbondantemente della Parola di Dio. La domenica è, al contrario, ritenuta importante perché si può attendere al altre occupazioni preferite, oppure a compiere piccoli lavori in casa o in campagna, o perché ci si reca al villino per un po’ di relax o ad altri hobby; oppure perché arriva finalmente un po’ di riposo o si va a fare una bella gita con amici e parenti. La domenica più che il giorno del Signore risorto che dà senso all’uomo, è il giorno dell’uomo che dà senso al lavoro riposando; ci si riposa per poi riprendere a lavorare; è il giorno in cui l’uomo libera se stesso, come gli pare, nella maniera più gradita possibile. Da giorno di festa per la Risurrezione di Gesù è divenuta tempo di svago, di divertimento; da primo giorno della settimana in cui si ricorda l’opera della creazione e ancor di più quello della ri-creazione della persona nella Pasqua, in cui si loda e si ringrazia Dio per la bellezza e la grandezza del creato, è diventata l’ultimo giorno della settimana, il “fine settimana”, in cui si sente il bisogno di scaricare il peso che si è accumulato sul corpo e sullo spirito nei giorni precedenti. Possiamo ancora dirci davvero cristiani se non siamo capaci o non riusciamo più a vivere insieme ciò che davvero costituisce la nostra identità, il Cristo morto e risorto, e la fonte della nostra fraternità, cioè la Cena del Signore? La prima lettura di oggi ci ricorda che ciò che caratterizzava i credenti dei primi secoli della chiesa era proprio il ritrovarsi insieme per ascoltare la Parola letta e spiegata dagli Apostoli, partecipare all’Eucaristia nelle case, riuniti in comunità vive, praticare la carità reciproca e mettere in comune i beni. Sono segni molto forti, questi, che vanno recuperati e che appartengono strettamente al significato della Domenica cristiana. In un mondo diviso e lacerato da lotte e discordie, la Pasqua è invito a cambiare modo di impostare le relazioni: ritrovare il gusto del dialogo, dell’amore fraterno, della comune dignità di figli di Dio. In un tempo in cui si ascoltano tante, troppe parole e non si capisce più dove sta la verità, la comunità cristiana proclama nelle proprie riunioni, nella Assemblea domenicale, soprattutto, la Parola di Dio come risposta alla sete di verità che l’uomo da sempre porta con sé. In tante, troppe situazioni di egoismo, da dove può venire il coraggio di dare la vita per il nostro prossimo e di darla in modo veramente libero e gratuito, se non dalla partecipazione alla Cena del Signore durante la quale accogliamo il dono della vita donata per noi e per tutti? Partecipando insieme, uniti, al banchetto dell’Amore che si dona, anche noi veniamo trasformati in Lui e resi capaci di diventare persone che si donano e si spezzano con gli altri e per gli altri, capaci di condivisione. Il grande male, è il caso di dirlo, è quello che ci siamo abituati a pensare in termini strettamente personali, non più comunitari. Prevale l’IO sul NOI; il benessere personale su quello collettivo. Non si condivide più nulla, se non per motivi economici o di interesse. Anche le amicizie, i rapporti fra noi, sorgono spesso su valori deboli e vengono meno alle prime difficoltà. Cristo risorto è il Valore capace di legarci in modo forte ora e per l’eternità, perché il suo amore ci unisce con vincoli che addirittura vanno oltre la morte, dando così piena dignità non solo alla nostra fede, ma anche alla nostra umanità. Tutto questo lo ricordiamo, particolarmente, nel giorno di domenica. Riuscirà l’uomo, se credente specialmente, a capire che smarrendo il senso della domenica smarrisce se stesso?


Don Roberto Zambolin


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