Il Padre della parabola e noi
4° Domenica di Quaresima anno C
(Gs.5,9a.10-12;sal.33;2Cor.5,17-21;Lc.15,1-3.11-32)
Succede, prima o poi, nella vita di fare un bilancio… e può anche succedere di trovarlo in rosso, completamente in passivo. Occorre, allora, un colpo di reni per potersi riscattare o comunque un lasciarsi perlomeno “rimbalzare” sul fondo del proprio fallimento, per potersi risollevare. E tale colpo di reni o rimbalzo può avvenire solo, prendendo coscienza di ciò che si è e del punto al quale la nostra maturità di persone e di credenti è arrivata. Ho fatto bene o male a prendere quella decisione? Mi è giovato decidere di testa mia? E spendere quel piccolo o grande patrimonio di soldi in modo poco utile, se non irresponsabile? Consiste in questo la vera felicità: nel togliersi ogni voglia, nel fare ogni esperienza allettante, nel vivere sopra le righe per provare quello che mi succede? E se rimanessi “fregato”, invece: per la mia incapacità, la mia inesperienza, il mio scarso autocontrollo, perché ho perso la testa, per la mancanza di senso critico? E se poi, dopo aver buttato i soldi e perso la mia dignità, perdessi anche gli amici e rimanessi solo con le mie illusioni e le mie delusioni? Si sa, certi amici finiscono, quando finiscono i soldi, o quando gli altri non si divertono più con te… La conclusione, spesso penosissima, di questa voglia di trasgredire e di fare esperienze esaltanti è molto spesso il vuoto interiore e la solitudine. In questa condizione chi mi può aiutare a ricominciare? Chi mi può salvare? Insomma: il saper ritornare “dentro di sé”, nella intimità e profondità del proprio essere, là dove le esperienze che si sono vissute, quelle belle e quelle brutte, hanno lasciato il segno; e il saper riconoscere i propri limiti, e i propri momenti di crisi, accanto alla “grinta” per venirne fuori e ad una buone dose di umiltà nel lasciarsi aiutare, tutto ciò è segno di grande intelligenza, di sapienza di vita, di tanta dignità personale. E’ curioso notare come in un’epoca così gravemente sofferente del “mal di relazione” si debba partire dalla relazione con se stessi nel caso si voglia recuperare la relazione con gli altri a livelli più corretti e appaganti. “Da dove comincio?” “Comincia col prenderti cura di te stesso..Torna sui tuoi passi… torna a casa… torna da tuo Padre, riparti dagli inizi…riparti da Dio. Questo Padre non ti giudica mai, non ti rimanda, arrabbiato fra i porci, a mangiare carrube per sempre, ma ti accoglie con rinnovato calore. Sei suo figlio, sua creatura, riscattata a caro prezzo dal sangue di Cristo.(1Cor.6,20) Lasciati riconciliare con Dio, come ha fatto il figlio minore della parabola; ritorna a casa, perché in piena comunione d’amore con il Signore, ritroverai anche pienamente te stesso e la tua libertà. Certamente questo figlio avrà pensato tra sé e sé: “E se il cuore di mio padre, cedesse alla tentazione della collera o fosse affogato nelle sabbie mobili del dolore?” Ma il germe di fede ancora pulsante sotto le macerie del proprio fallimento, gli ha fatto superare anche questo dubbio polverizzando ogni paura e ogni lentezza. Nell’atteggiamento del Padre della parabola, è racchiusa un’indicazione: come i genitori dovrebbero accogliere i propri figli che hanno combinato qualcosa di losco. E anche un’indicazione per noi sacerdoti: non siamo pubblici accusatori , ma ministri di misericordia, strumenti, sicuramente indegni, di Dio misericordioso, che dovremmo sempre gioire d’ogni peccatore convertito. Il figlio maggiore, da buon primogenito, è migliore? In realtà è più "partito" dell'altro…Esteriormente fa tutte le cose che si suppone faccia un bravo figlio, ma, interiormente, è sempre stato “lontano” da suo padre. Fa il proprio dovere, lavora sodo ogni giorno, adempie tutti i suoi obblighi, ma è così poco contento della sua fede, così geloso, così invidioso, così pieno di sé e dei propri meriti da ritenersi migliore di suo fratello. "Ecco io ti servo da tanti anni …" Non lo considera, suo Padre, come Colui che gli ha dato la vita, ma come il suo datore di lavoro! In questo lamento, l'obbedienza e l'amore sono diventati un peso e il servizio una occasione di scontentezza e di recriminazione. Capita anche fra noi, che calpestiamo gli atri della casa del Signore, di essere praticanti tristi, senza slancio, ipocriti, pronti a giudicare e a puntare il dito! Praticanti, ma non credenti. Si può stare anche tutta una vita nella casa di Dio, senza mai amarlo veramente! C'è tanto risentimento tra i giusti e i retti, esistono tanti pregiudizi, a volte, tra i "santi"… Se credere vuol dire: “cor-dare”, allora il credente non è innanzitutto una persona impegnata nella chiesa o moralmente corretta, ma uno che dà il cuore, uno che ama! Chi sta con sincerità e con convinzione nella casa del Padre, viene così tanto contagiato dal calore delle sue viscere di misericordia, da uscire di casa per cercare con cuore materno e misericordioso, i più deboli, i più lontani, i più fragili, i più indifferenti, coloro che non ce la fanno, chi è caduto così in basso, che più in basso non si può; soprattutto possiedono sempre una spalla sulla quale piangere, perché l’amore con il quale ti abbracciano e ti custodiscono è infinitamente più grande dei tuoi peccati. Di costoro, ne abbiamo tanto, ma tanto bisogno nella Chiesa.