Fiumi d'acqua viva...
Il coraggio della profezia
4° Domenica del Tempo Ordinario anno C
(Ger.1,4-5.17-19;sal.70;1Cor.12,31-13,13;Lc4,21-30)
4° Domenica del Tempo Ordinario anno C
(Ger.1,4-5.17-19;sal.70;1Cor.12,31-13,13;Lc4,21-30)
“Ci vuole un bel coraggio - mi diceva un giorno un giovane, che viaggiava con me in aereo - non solo a testimoniare la nostra fede di battezzati, ma a dichiararsi sinceramente tali. L’ambiente in cui si vive, dalla famiglia al posto di lavoro, ai vari luoghi di ritrovo, pare sopporti con disagio che qualcuno ‘sia’ cristiano. A volte si preferisce il silenzio, l’anonimato, il mostrarsi di non avere alcuna fede.. Cosa fare del resto? Ma lei anche se sacerdote, non ha paura, non prova disagio?” Certamente ho risposto, ma non tanto per la bellezza e il fascino della proposta evangelica, che attrae credenti e non credenti, quanto per la mia incapacità di essere fedele e di testimoniare fino in fondo Gesù Cristo. C’è sempre, infatti, molto divario tra la fede che professiamo e la vita che viviamo. In altre parole, rendiamo infruttuoso il dono della profezia che ci viene dal Battesimo, e che ci rende capaci, con la grazia di Dio e con la formazione cristiana, di diventare ciò che si è: veri figli di Dio, annunciatori del Vangelo con tutta franchezza. Così capita di stare di fronte a Gesù come gli abitanti di Nazareth: di stupirci delle parole di grazia che escono dalla sua bocca (Lc.4,22), ma poi di rifiutarlo se non vediamo fare da Lui dei miracoli che vorremmo…. Non è vero che a volte la nostra fede è interessata? Quasi una moneta per ottenere qualche cosa? Credere è perdutamente affidarci al Signore, consegnargli la nostra vita in tutto, accettare i suoi tempi, i suoi orizzonti, le sue mete. Credere è stare davanti al mondo “ come muro di bronzo”(Ger. 1,19) con la serena fiducia che Dio è la nostra fortezza e la nostra consolazione e che ogni parola che diciamo in Suo nome e che confermiamo con la vita, non sarà vana e salverà noi e le persone che ci ascoltano. Quante volte ho sentito dire “Se sono diventato quello che sono, è perché ho dato retta a cattivi maestri…”E quante volte veniamo derisi perché non siamo ‘alla moda’, ossia non facciamo piazza pulita dei valori della persona, che sono la nostra veste di figli di Dio, per indossare gli stracci dell’effimero, che riduce a marionette che stanno al gioco, ma sono tremendamente infelici. Oggi davvero occorrono ‘uomini e donne di fede’, che sappiano mostrare il Volto di Dio, senza paura e, senza disagi, con la semplicità dei santi, vestano l’abito della verità, costi quel che costi. Il mondo ci invita a idolatrare la trasgressione, il piacere ad ogni costo, il successo e il potere...non importa se questo ci chiede di calpestare la nostra meravigliosa identità di figli del Padre! In Israele, il profeta è la coscienza critica del popolo. In nome della Parola di Dio smaschera, ovunque si trovino, le subdole complicità del male; denuncia i vizi del popolo, la falsità del culto, gli abusi di potere, ogni forma di idolatria, di ingiustizia, di «catturazione» di Dio. La parola dei profeti, che sanno leggere le vicende del mondo con gli occhi della fede, diventano il «giudizio di Dio» sulle vicende umane e insieme comunicazione del suo santo volere. E’ sempre perciò un invito alla conversione del cuore, personale e collettiva. Il profeta è il difensore degli oppressi, dei deboli, degli emarginati; sempre dalla loro parte; è la loro voce; è la voce di chi non ha voce; è chiamato ad essere responsabile di Dio di fronte agli uomini e responsabile degli uomini di fronte a Dio. Il profeta è l’uomo della speranza. La denuncia del male non lo inacidisce; ma guarda avanti e fa guardare avanti con fiducia. Nei momenti più duri della storia del popolo eletto (deportazioni, esilio, sofferenze) le parole del profeta sono parole di consolazione e di fiducia. Denunciata l’infedeltà del popolo, il profeta annuncia la fedeltà di Dio, su cui si fonda solidamente la speranza. Gli Ebrei vivevano la propria storia come un susseguirsi cronologico di avvenimenti alcuni lieti altri dolorosi; il profeta, invece, legge tale storia come un dialogo drammatico tra Dio e l’uomo, e così la trasforma in una storia «sacra». Ma tutti i grandi profeti dell’A.T. sono stati figura e anticipazione del grande profeta: Gesù di Nazaret, Uomo-Dio. Gesù non solo parla a nome di Dio ma è Dio che parla in lui. In lui coincidono profezia e compimento della profezia. E il compimento della profezia è il martirio. Sono tanti, ovunque, anche oggi, coloro che predicano il Vangelo sul filo del martirio. Quando penso a questo, confesso che mi assale come una grande malinconia, soprattutto se li paragono al disagio di molti nel testimoniare il Vangelo con la vita o alla paura di chi si rifugia nell’anonimato, che è come cancellare Dio dalla propria storia. Viene da interrogarci sulla qualità della nostra fede e missione, in questo tempo assetato di Verità, in cui troppi però non trovano sorgenti di acqua viva. E che diranno di noi, dal Cielo, coloro che hanno dato la vita per essere cristiani? Spero tanto e prego perché tutti possiamo diventare coraggiosi e gioiosi testimoni di Cristo... anche se sarà necessario andare contro corrente.
Don Roberto Zambolin