I frutti della luce - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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I FRUTTI DELLA LUCE
TERZA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
(Is. 8,23b-9,3; sal.26; 1Cor.1,10-13.17; Mt.4,12-23)

Molte volte, soprattutto nel Vangelo di Giovanni, Gesù è chiamato “la luce degli uomini”, oppure “la luce che illumina il mondo”, oppure “la luce che rischiara le tenebre”. Lui stesso, del resto, dirà di sè: “ Io sono la luce: chi segue me non cammina nelle tenebre”.(Gv. 8,12) Oggi, la Parola di Dio, ci elenca almeno tre frutti squisiti, per chi si espone a Cristo-Luce. Il primo è la conversione della propria vita: chi guarda in direzione di Cristo, chi si lascia guidare dalla luce della sua Parola diventa egli stesso luminoso, cioè convertito, “cum-versus”, rivolto verso la sua compagnia, in comunione con Lui, illuminato dal suo Mistero di Figlio amato dal Padre. Una vera conversione, infatti, non è solo opera dell’impegno umano, per quanto meritorio e lodevole, ma è innanzitutto frutto dell’azione di Dio e della sua Grazia, dei “gemiti inesprimibili dello Spirito” in noi. (Rm8,26) Non bastano i buoni propositi, fatti magari in un momento particolare di entusiasmo o dietro la spinta di qualche intensa emozione, ma la conversione è la conseguenza di una vita rivolta verso Gesù, aperta a Cristo, alla sua Parola, alla sua volontà.. Il secondo frutto, strettamente legato al primo, è quello della sequela. Non c’è autentica vita cristiana se non ci si pone alla sequela di Gesù Cristo. La conversione del cuore e della vita, sarebbe puro autocompiacimento, ricerca di perfezione, (perfezionismo?), un sentirsi a posto in coscienza, se non avvenisse in funzione della sequela di Cristo. Lascio il mondo con le sue passioni ingannatrici, (Ef. 4,22) per ritrovarmi in Cristo, dentro il “suo mondo”, fatto di semplicità, di essenzialità, di carità, di Croce e di Risurrezione, di vita nuova. Vivo con libertà interiore il rapporto con le persone e le cose non perché ho paura di peccare, ma perché “passa la scena di questo mondo”,(1Cor.7,21) perché temo di vivere senza appartenere sufficientemente a Lui e, di conseguenza, alla fine, mi ritroverei con nulla in mano. L’esperienza di questi miei trent’anni di sacerdozio, mi induce a dire una cosa estremamente seria: nella Chiesa di Dio si può svolgere un ministero o un impegno pastorale, senza aver mai fatto “veramente” la scelta di Gesù Cristo. Ci si può persino sposare in Chiesa, entrare in seminario e diventare anche preti e religiosi senza essere, innanzitutto, veri cristiani, senza averLo mai scelto nelle profondità del nostro cuore! Solo una sequela vissuta con consapevolezza di fede e nella fedeltà a Lui continuamente rinnovata, ci permette di essere nella Chiesa con uno spirito autenticamente missionario; viceversa ricopriremmo solo un ruolo, una funzione, (o una finzione?) Il terzo frutto è la vita di fraternità. Il cristiano non è un chiamato a seguire Cristo, ma un con-chiamato, chiamato assieme ad altre sorelle e fratelli. Il Vangelo di oggi ci ricorda che la sequela è sempre un invito ad entrare in una comunità di discepoli. Come nell’A.T. “chiamato” è l’intero “Popolo di Dio”, così nella Chiesa siamo chiamati per essere un solo corpo in Cristo Gesù.(1Cor.8,12;12,12ss) Nella Chiesa, pertanto, si sta insieme non perché ci siamo scelti, ma perché siamo stati scelti dal Signore. Come sarebbero diverse le nostre famiglie, le nostre aggregazioni laicali, le nostre parrocchie e la nostra stessa vita di preti, di religiose e di religiosi se vedessimo le relazioni fra noi in questa ottica di fede…cadrebbero tanti veti incrociati nei nostri rapporti, saremmo meno estranei gli uni agli altri. Essere estranei è essere “nelle tenebre”, perché l’uomo è creato e posto da Dio nel mondo per vivere come “custode” dei propri fratelli.(Gn. 4,9) E’ custodendo il fratello, che l’uomo custodisce anche se stesso, la propria vita, la propria identità di “persona”. Leggiamo oggi nella seconda lettura: “Cristo è stato forse diviso”?(1Cor.1,13) Se tutti apparteniamo a Cristo in virtù dello stesso Battesimo, della medesima sequela, della appartenenza alla stessa Chiesa, perché vi sono discordie e divisioni fra noi? A Corinto accadeva proprio questo: sul piedestallo di un apostolo instancabile nel lavoro come era Paolo, o di una autorità indiscussa come era Pietro, o di una feconda arte retorica come poteva essere quella di Apollo, insomma sulla base di pretesti apparentemente dignitosi e giusti, si nascondevano radicati personalismi e mire molto più basse. Per superare le divisioni, Paolo indica una soluzione: non quella mondana, della logica del più forte o dei partiti contrapposti, ma quella di Dio che consiste nella sapienza della croce, (1Cor.1,17) del dono di sé, del generare la vita morendo a se stessi. Se la nostra predicazione e la nostra “vita nella chiesa” non possiedono questa “sapienza della croce” a che serve, a chi serve ciò che siamo? “ O Signore, fa che i nostri occhi si aprano”(Mt. 20,33)


Don Roberto Zambolin


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