I BEATI DEL VANGELO
( Sof.2,3; 3,12-13; sal.145; 1Cor.1,26-31; Mt.5,1-12a)
4° Domenica del Tempo Ordinario
Questa domenica incontriamo testi biblici di estrema bellezza e profondità che meriterebbero molti silenzi e poche parole, perchè vanno intensamente meditati, assimilati nel cuore, consegnati alla nostra preghiera e alla revisione di vita. Pensiamo alle parole di consolazione del profeta Sofonia: “ Cercate il Signore, voi tutti poveri della terra, cercate la giustizia, cercate l’umiltà…”(Sof.2,3) e a quelle di Paolo: “ Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti…”(1Cor.1,27-28). Parole luminose, rasserenanti, che ci permettono di respirare e di dire: davvero c’è posto per tutti davanti al Signore! I poveri della terra e i deboli del mondo saranno la nostra speranza, il nostro futuro: questo è il messaggio che ci viene dalla Parola di Dio di questa domenica. Ma chi sono costoro? Allora, ai tempi di Sofonia erano “ un piccolo resto”, una minoranza nel paese, che viveva nella sottomissione fiduciosa all’Amore di Dio; gente irrilevante per numero e per prestigio, in mezzo alla corruzione dilagante, alla avidità dei potenti, alla violazione sistematica dei diritti. Oggi sono quei credenti, umili e fiduciosi, che non hanno nulla di cui vantarsi se non la loro speranza nel Signore; che vivono pensando poco a se stessi e molto altri e che, proprio per questo, contano poco nella logica dell’apparire e nella ricerca dei primi posti. Sono gli “anawim Javhè”, cioè gli umili e i poveri di Dio, che continuano a fare dell’Evangelo il criterio di vita, nonostante i potenti, le ideologie mondane, la cultura dell’effimero, la presunzione di un certo laicismo radical borghese e anticlericale, li consideri come retroguardia della società. La forza e il prestigio mondano, che sono i criteri di valutazione dominanti in questo mondo, davanti a Dio sono “spazzatura” per la quale non vale la pena affannarsi. Tutta la storia della salvezza, infatti, sta a dimostrare che Dio, per portare avanti il suo piano, sceglie sempre i secondi, mai i primi: Giacobbe e non Esaù, il piccolo Davide e non i fratelli maggiori, anche se più gagliardi in età e in robustezza fisica; la fede di una vedova e non quella del sommo sacerdote, nel tempio di Gerusalemme; una semplice donna che abitava in una città di poco buona reputazione, come era Nazareth, sarà la sua madre; gente semplice e uomini peccatori saranno i dodici apostoli e via dicendo…Gesù chiede solo una condizione per essere “beati”, (nel testo greco macarioi = felici), per essere nella gioia, nella contentezza: avere nel cuore tanto desiderio di Lui, tanta voglia di conoscerlo, di amarlo, di vivere con i suoi stessi sentimenti, di coltivare la medesima passione di bene per l’umanità. Più la persona si avvicina a Cristo, con animo da povero e interiormente libero, più rimane affascinato da Lui, dal suo stile di vita, dal suo modo semplice, forte e chiaro di relazionarsi con gli altri, “Chi si avvicina a Cristo- dice Giovanni Paolo II - diventa anch’esso più uomo” Lo testimoniano schiere di persone, note e meno note, che vanno dai grandi santi quali S.Francesco, Madre Teresa, il Cottolengo, Don Bosco a donne e uomini considerati grandi benefattori dell’umanità, come Raul Follereau, l’apostolo dei lebbrosi, a gente non lontana da noi, dalla nostra storia, forse dalla nostra parrocchia, che hanno fatto e che fanno del servizio a Dio e ai fratelli il filo rosso che attraversa tutta la loro vita. C’è un modo di credere e di servire che è sapiente eppure umile, competente eppure semplice, spiritualmente robusto eppure paziente, testimoniato nella chiarezza ma anche nella misericordia, senza creare distanze nè barriere. Questa è la gente di Dio che non guarda ai risultati o alle gratificazioni, ma solo alla qualità della propria presenza nella Chiesa e del proprio stare tra la gente. E che solitamente, con semplicità e umiltà, sceglie l’ultimo posto. Questi sono i veri beati che generano serenità, speranza, futuro. Ogni cristiano dovrebbe essere così. Le beatitudini, infatti, non sono per pochi eletti, ma proposte per tutti. Le beatitudini vogliono essere un modello nuovo di persona e, di conseguenza, di umanità. Per questo è Gesù colui che per primo le ha vissute in pienezza, fino alle estreme conseguenze. Le beatitudini rivelano il volto umano di Dio, quello di cui l’uomo oggi ha veramente bisogno. Tutti sentiamo l’esigenza di relazioni vere, sinceramente umane, ricche di amore, di fiducia, di serenità, di pienezza di pace. Di fronte all’egoismo dei più ricchi come alla fretta di chi ha sempre tante cose da fare e poco tempo per ascoltare le nostre gioie e le nostre miserie per condividerle con noi, vi è necessità di “poveri di spirito”: di cristiani gioiosi, sereni nell’intimo, miti, misericordiosi, che sappiano trasmetterci la tenerezza e la fedeltà di Dio nella complessità della vita di oggi. Cristiani così, non si improvvisano, nemmeno persone così si improvvisano. Alla radice vi è una beatitudine di fondo: quella dell’educarci ad essere se stessi, e di lasciarci plasmare mani e cuore dallo Spirito Santo. Questo è possibile se stiamo un po’ di più con il Signore. Matteo scrive che quando Gesù si siede sul monte ad insegnare “i suoi discepoli gli si avvicinarono”(Mt.5,1). E’ solo in questa vicinanza a Lui che si comprende la verità di quanto dice e si potrà sperimentare la beatitudine di diventare a immagine e somiglianza della sua Parola.