Grazie Tommaso!
2° Domenica di Pasqua anno C
(Atti 5,12-16;Sal.117;Ap.1,9-11a.12-13.17-19;Gv.20,19-31)
Vorrei iniziare questa riflessione con le parole di papa Gregorio Magno. Scriveva: "A noi giovò di più l'incredulità di Tommaso che la fede degli apostoli". "Giovò di più l'incredulità di Tommaso…" Nella mia esperienza di sacerdote, se oggi vado a vedere dove si sono avviati degli avvicinamenti alla fede nelle persone, mi ritrovo a confessare che nella stragrande maggioranza dei casi non fu per merito dei "declamatori della fede" ma per merito di uomini e donne come Tommaso; sono coloro che vivono la propria vita di fede sperimentata nella quotidianità: fra dubbi, incertezze, insicurezze, situazioni esistenziali problematiche: sono costoro che ci aiutano nel cammino e nella ricerca della fede. E’ chiaro che la fede ha le sue certezze consolidate: la morte e Risurrezione di Cristo, ad esempio è la nostra certezza e la nostra speranza, il cuore della fede; come del resto anche l’umanità di Gesù che ci rivela, ci fa conoscere il volto di Dio. Ma questa non è ancora fede. Fede è quando tutto questo passa nella vita, nelle nostre relazioni; quando i "misteri della nostra fede" attraversano "i misteri del nostro cuore": sentimenti, desideri, volontà, slanci d’amore; tutto deve essere mosso da ciò in cui crediamo, con tutte le gioie e fatiche che comporta incarnare giorno per giorno il nostro "credo". Sulla scia delle parole di Gregorio Magno, forse dovremmo pregare che ci siano più donne e uomini testimoni di fede, uomini e donne veri, come Tommaso, che portano sul volto la beatitudine dei non vedenti, quella che oggi ci ha ricordato il Vangelo: beati quelli che non vedono…(Gv.20,29) coloro che nella loro vita quotidiana si ritrovano spesso a pregare con le parole lu-minose di quel padre del vangelo che aveva un figlio epilettico: "Io credo, Signore, ma tu aiutami nella mia incredulità".(Mc.8,23) Sono questi che possono aprire strade alla fede. Mi sono anche chiesto che cosa aveva impedito a Tommaso di credere all'esclamazione della comunità dei discepoli che dicevano: "Abbiamo visto il Si-gnore".Gv.20,24) Premesso che la fede non è intuizione o conquista, ma dono dello Spirito e cammino di crescita, forse una cosa non aveva convinto Tommaso: che i suoi parlavano del Maestro come di uno che aveva vinto la morte, che era risuscita-to a vita nuova, che li aveva sconvolti, eppure otto giorni dopo si trovavano ancora con le porte chiuse. Quelle porte chiuse erano una contro testimonianza: il "Vangelo della Risurrezione", che deve spingere ad aprire con coraggio e fiducia le porte do-ve stavano chiusi, aveva incontrato, al contrario, una comunità dalle porte chiuse, una comunità bloccata su se stessa, separata, sulle difensive. Certo una comunità del genere, non potrà mai essere una buona testimonianza della risurrezione. Questa purtroppo è l'immagine che spesso ancora oggi diamo di tante nostre parrocchie: comunità ripiegate su di sé, la cui vita pastorale è troppo limitata a curare quelli che sono "dentro" le porte, mentre la forza della Risurrezione stenta ad essere incarnata nella complessità della vita degli uomini di oggi. Ho ritrovato puntualmente questo in un passaggio di un'intervista allo scrittore Giuseppe Pontiggia. Ecco le sue paro-le: "Quello che più colpisce della buona novella di Cristo è il fatto che ogni uomo può essere salvato. Da questo punto di vista non c'è speranza più grande di quella contenuta nelle parole di Gesù al ladro crocifisso al suo fianco: Oggi sarai con me in paradiso. A volte, invece, la coscienza laica si trova a disagio davanti alla percezione di una comunità di eletti contrapposta alla massa sterminata delle persone che, per i motivi più diversi, restano al di fuori della salvezza. Cristo ha parlato per i peccatori e non per i giusti, eppure il laico si sente comunque peccatore rispetto alla Chiesa: anche lui, però, può avere momenti di fede autentica". "Una comunità di eletti contrapposta a una massa" -lasciatemelo dire- non è immagine buona del Signore risorto. Forse dovremmo prendere sul serio le parole di Gesù ai suoi discepoli: "Come il Padre ha mandato me, così io mando voi".(Gv.20,21) A volte ci si nasconde dietro la parola "mandato". Noi siamo mandati. E ci si sofferma poco -troppo poco- su quel "come", che segna una discriminante, e si pensa per lo più che siamo mandati a par-lare. Ricordate l'inizio della missione pubblica di Gesù, nella sinagoga a Nazaret? Mandato per che cosa? Mandato come? E Gesù riprende il passo di Isaia e dice: "Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia…"(Lc.4,16-19) Come è stato mandato Lui, così mandati noi: non a giudicare, non la condanna che rinchiude, ma il perdono, il perdono che fa stare il cuore nella pace: "Entrò e disse: Pace a voi!".(Gv.20,19) C'è una grazia per tutti. Co-me Gesù. Non i gesti che chiudono, ma quelli che aprono, che sollevano: l'ombra di Pietro, l'ombra che guarisce al suo passaggio.(At.5,15) Pensate, non una parola! L'ombra, quasi l'assenza del gesto, l'ombra silenziosa, una presenza, l'aria che tu fai respirare… dà pace, risolleva il cuore, rimette in cammino. La bellezza di una chiesa, oggi, sta tutta qui: essere ’"ombra" per il mondo, per la gente: ombra che rasserena, ristora, rinfranca; un’ ombra che ti rimette in cammino dopo tanta solitudine, un’ombra di tenerezza; una chiesa che parli meno e faccia più ombra, sotto la quale potersi riparare durante le calure e i sudori della vita. E’ la chiesa che vive e testimonia il Vangelo, con il silenzio di un’ombra che parla più di mille parole. Ah, quanto desideriamo tutti questa chiesa: forza Papa Francesco!