Gesù è il Buon Pastore. E noi? - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Gesù è il Buon Pastore. E noi?
4° Domenica di Pasqua anno B
(At.4,8-12; sal.117; 1Gv.3,1-2; Gv.10,11-18)

La fede di noi cristiani, è fede in un Dio trinitario: Padre, Figlio e Spirito Santo. Dio trinitario, vuol dire Dio-Comunione, Dio – Comunicazione. Dio-Relazione, Dio incontro con la persona, Dio- Amore. Non si tratta di un Dio solitario, chiuso nelle sue perfezioni, né, tanto meno, di un Dio che ama l'anonimato. Dio, il Padre, si presenta in prima persona e ci chiede una relazione d'amore, di camminare insieme con Lui, Ci chiede di lasciarci guidare da Lui. Infatti l'espressione maggiormente usata nella Scrittura con la quale Dio, il Padre, si presenta e si presenta anche Cristo, suo Figlio, è: “Io sono”. Già nell'Antico Testamento (Es 3,16) alle pressanti richieste di Mosè, davanti al roveto ardente, Jahweh si qualifica come “Io sono colui che sonor.Anche a Gesù piace questo modo di definirsi. Nei vangeli. Egli dice: io sono: la luce, il pane, la vita, la risurrezione, la via, la verità... Nel brano evangelico odierno per ben due volte ribadisce “Io sono” il buon pastore che guida le sue pecore (Gv 10,11.14). Poco prima (Gv 10,7) non esita ad affermare: “Io sono la porta delle pecore”. Come mai prima si presenta come “porta” e poi come “buon pastore”? La porta è un mezzo attraverso cui passare, il pastore invece è il fine da imitare e seguire. E' la stessa ambivalenza contenuta nell'affermazione di essere via, verità e vita. La caratteristica della via, della strada è di essere mezzo, strumento al camminare, mentre verità e vita sono “le mete” da cercare e vivere. In Gesù mezzi e fini si identificano. Camminare nella vita per mezzo di Gesù, significa camminare in Gesù,seguire Lui. Questo ha una ricadu ta rivoluzionaria su tutti quelli che si qualificano come cristiani. Ad essi non si può applicare l'affermazione di Machiavelli che i fini giustificano i mezzi, in quanto in Cristo essi si identificano senza contrapporsi. Gesù non predica la giustizia, ma la vive in quanto è giustizia. Il Messia non è un banditore di libertà, ma è libero perché è libertà.
Il Nazareno, così lo chiama Pietro nell'odierno brano tratto dagli Atti, non parla in termini altamente poetici dell'amore, ma vive l'amore in quanto è amore. Lui non predica, non difende, non chiude in formule stereotipate la fede: Lui è la fede. Non abolisce neppure uno iota od un apice della legge per il semplice motivo che dopo la sua morte e risurrezione è Lui la legge . Di conseguenza l'essenza del nostro vivere cristiano deve essere radicato e  sostenuto dalla certezza che, per dirla con Pietro: " Non vi è altro nome dato agli  uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati". Il cristiano  sta in piedi per mezzo di Cristo, perché sta davanti a Gesù. Se Egli sparisce dalla sua vita, viene meno la sua ragion d'essere. Avere fede non vuol dire crede re in qualcosa, ma relazionarsi lealmente con una Persona Vivente. Il cristian esimo non è una teoria della Verità, o una interpretazione della vita. E' anche  questo, ma non costituisce il suo nucleo essenziale. E' Gesù di Nazareth, è la sua  concreta esistenza, è la sua opera, è il suo destino, è la sua personalità storica a  dare senso alla fede. Essa non può limitarsi ad una astratta adesione intellettuale  ad una norma morale od ad una semplice scelta di natura etica. Richiede che  il cristiano apertamente si pronunci per Lui sia a livello di adesione interna che a  quello esterno di sequela di vita. Al riguardo Cristo è stato molto chiaro: "Chiun que mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre  mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo  rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt 10,32-33). Noi non possiamo  limitarci a predicare od indicare la porta di accesso all'ovile del Signore, ma dobbia mo essere la porta; non possiamo limitarci ad annunciare a parole il fine del  camminare nella fede, ma, con la nostra immedesimazione esistenziale nel miste ro del Cristo storicamente risorto ed asceso al cielo, dobbiamo essere modelli  realizzati, nella contingenza di questo mondo, di questo fine. La liturgia della  Parola di questa quarta domenica di Pasqua ci ricorda, in sintesi, che il cristia esimo è Cristo stesso. E' solo Lui il mezzo attraverso cui Dio perviene agli uom ini ed il fine che gli uomini devono perseguire per relazionarsi con Dio. Quando  Gesù afferma di essere il vero pastore, l'unico pastore, il suo discorso non ha  niente di idilliaco: si tratta della rottura definitiva con i capi religiosi di Israele,  mercenari a cui non importa delle pecore: dividevano il fine dai mezzi. Dicevan o, ma non facevano; insegnavano la legge, anzi la imponevano, ma non la viveva no. Infine: forse a noi non piace molto essere paragonati a un gregge... Tuttvia  l'immagine della pecora, sotto certi aspetti, suggerisce bene la nostra condiz ione: privi di qualsiasi mezzo di difesa contro il lupo rapace, la pecora si affida  d'istinto al pastore perché la difenda e la conduca. In altre parole: se il Vangelo  chiede ai cristiani il sacrificio del loro individualismo, del loro egocentrismo e di  affidarsi all'amore di Cristo, in compenso garantisce loro lo sviluppo della loro  personalità. Perché Cristo non mortifica la persona, ma ne espande le risorse;  non comprime la libertà, ma la eleva e la purifica. Insomma seguire Cristo buon  Pastore, significa diventare pienamente se stessi, così come Dio ci ha pensato e ci  vuole.


Don Roberto Zambolin


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