Gesù crocifisso e noi
Domenica delle Palme anno C
(Is.50,4-7;sal.21;Fil.2,6-11;Lc.19,28-40;.22,14-23, 56)
Durante la settimana santa non celebriamo solo dei “bei riti tradizionali” ma ripercorriamo la vicenda dolorosa di un uomo che non ha voluto salvare se stesso e non ha rinunciato ad amare fino alla fine. Il suo amore suonava e suona anche oggi di scandalo in un mondo di donne e uomini che amano poco, spesso narcisisti e individualisti, anche se molto tristi e molto soli. La voce del nostro mondo non è diversa da quella di chi si rivolgeva a Cristo crocifisso dicendo: "Salva te stesso".(Lc.23,37) Pensare solo a se stessi, sembra diventata una legge di vita e di sopravvivenza, soprattutto in tempi difficili come i nostri, in cui ognuno si sente vittima e incolpa gli altri delle sue difficoltà. Ma Gesù ci aveva ammoniti: "Chi vuol salvare la propria vita, la perderà; chi perde la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà."(Lc.17,33) Colpisce il fatto che il racconto della passione inizia e termina ricordando delle donne che si preoccupano di Gesù. All'inizio troviamo l'episodio di Betania, mentre Gesù si trova a casa di Simone, dove una donna gli versa un intero vaso di profumo prezioso sul capo. Subito i commensali mostrano la loro rabbia per lo spreco di un unguento così prezioso: "Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri".(Mc.14,4) Quello della donna era un gesto gratuito, di accoglienza a Gesù, di attenzione per il suo corpo. Ma la gratuità dell'amore, allora come oggi, infastidisce gente abituata a calcolare tutto, persino l'amore. L'amore gratuito sembra uno spreco per chi vive preoccupato di sé, in modo avaro e calcolatore, finalizzando a sé anche relazioni belle e significative, come possono essere quelle tra parenti e amici quelle tra un uomo e una donna, le relazioni sessuali, la stessa vita di preghiera… Tutto può essere vissuto in riferimento a se stessi se non siamo cresciuti nella logica del dono. Al termine del racconto della passione troviamo ancora alcune donne che, sole, sono rimaste con Gesù fin sotto la croce. Erano Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome. Sono le uniche che non abbandonano Gesù nel suo cammino verso la croce. Lo sappiamo: si fugge davanti alla sofferenza. Il nostro mondo non sopporta la sofferenza e preferisce allontanarla. Quante volte abbiamo sentito dire: "Piuttosto che soffrire, meglio che muoia": non si sa stare né in compagnia di se stessi, quando si soffre, né vicini a chi soffre; a volte pare che stare accanto al dolore degli altri, sia tempo perso e così quando arriva il proprio dolore, questo diventa insopportabile. Quelle donne ci aiutano a rivestirci di un sentimento che sta scomparendo dal nostro mondo: la pietà, la compassione. L'amore di quelle donne non è gridato, scomposto; è delicato, fatto solo di presenza e di piccoli gesti, quasi insignificanti, come quel profumo versato sul capo di Gesù o quello stare sotto la croce senza poter dire niente. Eppure quanta distanza tra questi gesti e la fuga paurosa dei discepoli, il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, l'urlo della folla che lo vuole crocifiggere, la presa in giro dei soldati romani, l'indifferenza dei passanti! Il grido di Gesù sulla croce squarcia il silenzio dell'indifferenza e la volgarità della violenza su un uomo sofferente. Quel grido ci sveglia, come il canto del gallo che ricordò a Pietro le parole di affetto del Signore e lo fece piangere.(Mt.26,34) È il grido di un uomo morente, crocifisso e abbandonato da tutti, tranne che da alcune donne. Il suo grido è anche una preghiera rivolta a noi e al mondo: non mi abbandonare, non usare violenza e prepotenza, non vivere per te stesso, non allontanarti dal dolore, impara la pietà e la compassione, vivi nell'amore. Il suo grido è anche una domanda rivolta a noi: scegli di vivere con me e come me, non lasciarti dominare dalla paura di un amore gratuito, vivi con umiltà e mitezza, accompagnami nel dolore e potrai godere la gioia della resurrezione. Ascoltiamo questo grido: non ascoltiamo solo noi stessi! Compiamo in questi giorni gesti semplici e gratuiti di amore verso gli altri imparando da Lui, mite e umile di cuore. Il suo grido dalla croce ci ricorda che nel mondo sono tanti quelli che soffrono e più di noi. Sono uomini e donne in guerra, sono bambini abusati o vittime della fame e delle malattie, sono donne maltrattate e umiliate nella loro dignità, sono vecchi lasciati soli a vivere e a morire, sono stranieri e zingari per cui c'è poca pietà, sono condannati a morte senza speranza di vita.. Oggi noi vogliamo fare nostro il grido di Gesù dalla croce per non vivere più nell'indifferenza, scuotendo le spalle. Certo, anche vicino a noi ci sono persone che soffrono, gente che vive tempi difficili, famiglie in difficoltà, persone che hanno perso il lavoro. Impariamo a stare loro vicini, aiutiamole come possiamo, non facciamo finta di niente. Talvolta anche solo un ricordo, una parola, un piccolo gesto di solidarietà possono aiutare, dare speranza, la vita degli altri. Accanto a Cristo crocifisso si impara ad accettare, con pazienza e amore, le proprie ferite e quelle degli altri