Fine del mondo o fine di un mondo? - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fine del mondo o fine di un mondo?
33° Domenica del Tempo Ordinario anno B
(Dn.12,1-3; Sal.15; Eb.10,11-14.18; Mc.13,24-32

Ci stiamo ormai avviando verso la conclusione dell’anno liturgico. Il brano del Vangelo che viene annunciato in questa domenica fa parte del “discorso escatologico” (“le realtà ultime”), che in Marco comprende tutto il capitolo 13 (è il discorso più lungo riportato dal secondo evangelista). Gesù è appena uscito dal tempio, dove ha fatto l’elogio di una povera vedova che ha gettato nel tesoro tutto quanto aveva per vivere, e si sta dirigendo verso il monte degli ulivi da dove si può ammirare lo splendore del tempio.
I discepoli, guardando questa incredibile costruzione ne restano colpiti, e uno di loro dice a Gesù: “Maestro, guarda che pietre e che costruzione!”.(Mc. 13,1) Ed in effetti si trattava di un complesso architettonico che suscitava le meraviglie di chiunque lo avesse veduto. Nello stesso Talmud si legge: “Chi non ha visto ultimato il santuario in tutta la sua magnificenza, non sa cosa sia la sontuosità di un edificio” (51b).
Gesù, quasi interrompendo le affermazioni di meraviglia del discepolo, dice a tutti che di quella costruzione non sarebbe rimasta pietra su pietra. I discepoli, al sentire queste parole, restano ovviamente stupiti e increduli. I tre più intimi, cui si aggiunge Andrea, subito chiedono quando tale disastro dovrebbe accadere. E Gesù risponde con un lungo discorso nel quale descrive gli avvenimenti degli “ultimi giorni”. Il brano evangelico di questa domenica (Mc 13, 24-32) riporta il punto culminante del discorso. Gesù annuncia che seguiranno sconvolgimenti cosmici: “Il sole si oscurerà e la luna non darà più chiarore; le stelle precipiteranno giù dal firmamento e le forze del cielo saranno sconvolte”.(Mc. 13,24-25) E aggiunge: “Allora si vedrà il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”.(Mc. 13,26) Quando egli verrà porterà un cambiamento radicale sia nella vita degli uomini che nella stessa creazione. Per esprimere questa trasformazione profonda - una sorta di violenta interruzione della storia - Gesù usa un linguaggio che era tipico di quel tempo, il cosiddetto linguaggio apocalittico, utilizzato per indicare le grandi trasformazioni, i grandi mutamenti, l’avvento di qualche cosa di veramente nuovo, planetario. cosmico, la fine di un mondo, di una storia. Attenzione però: non si tratta di avallare una sorta di “teoria della catastrofe”, secondo la quale deve esserci prima l’inabissarsi del mondo in un completo fallimento per poter quindi attendere finalmente Dio che volgerà al bene ogni cosa. No, Dio non arriva alla fine, quando tutto è perduto. Egli non rinnega la sua creazione, nel libro dell’Apocalisse infatti, leggiamo: “Tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono” (Ap. 4, 11). La Scrittura, in tutte le sue pagine, esorta piuttosto ad operare (e ad invocare) per l’instaurazione di una creazione nuova secondo l’immagine della città futura descrittaci nelle pagine finali dell’Apocalisse: “Vidi un cielo nuovo ed una terra nuova, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap.21, 1-2). Si tratta pertanto non della fine del mondo, ma della fine di un mondo, di un’epoca fatta certamente di tante cose belle, di gesti di amore che ci ricordano che la risurrezione di Cristo è già operante in questa nostra storia, ma anche fatta di precarietà, di debolezza, di fragilità, di divisioni, di lotte, di conflitti, di malattie e di morte; e dell’inizio di  un tempo che durerà per sempre ove tutti i popoli della terra saranno radunati come in un’unica grande famiglia e l’amore di Dio sarà tutto in tutti.(1Cor.15,28)  Gesù parla sì di “ultimi giorni”, ma dice anche che tali rivolgimenti avverranno in “questa generazione”, ossia nel tempo che coinvolgeva i suoi ascoltatori. Del resto era la stessa presenza di Gesù a realizzare lo sconvolgimento del corso normale della vita del mondo; basti pensare a quanto accadeva con la sua predicazione e a quanto accadde con la sua resurrezione. Che cosa dobbiamo fare noi mentre attendiamo la fine di questa nostra storia e l’inizio del nuovo mondo? Essere vigilanti, vivere continuamente in uno stato di conversione, aprire occhi e orecchie per ascoltare il Signore che nella sua Parola ci vuole preparare al meglio all’incontro finale con Lui.: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap. 3,20). Alle porte di ogni giornata della nostra vita c’è il Signore che bussa, ogni giorno può essere per noi il “giorno ultimo” che attende di essere accolto; ogni giorno è giorno utile per lo sposo, Cristo, che può dire ad ognuno di noi: “ Vieni!” (Ap.22,17)


Don Roberto Zambolin


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