FIGLI MINORI E FIGLI MAGGIORI NELLA CHIESA
Quarta domenica di quaresima
(Gi ,9a.10-12; sal.33; 2Cor.,17-21;Lc.1,1-3.11-32)
Nella parabola del Padre misericordioso, l’annuncio dell’amore tenero e fedele di Dio si fa perdono verso tutti i suoi figli: giusti e ingiusti, peccatori perché lo rifiutano o peccatori perché ipocriti. La paternità di questo Dio è ricca di contenuti meravigliosi: si esprime in un profondo rapporto di libertà con le persone da Lui create e amate, libere persino di rifiutare il suo amore, senza mai che questo Padre perda la speranza in loro. Il testo trasuda una grande umiltà di Dio che, pur potendo occupare tutti gli spazi e possedere tutto, si autolimita, si restringe, per fare spazio alla sua creatura, perché possa vivere in piena autonomia le sue scelte, ed esprimere un amore di figlia e non di schiava (Rm.8,15); l’accoglienza e l’ansia di salvezza per chi è morto interiormente, avendo smarrito tutto, buttato tutto il patrimonio di vita che gli è stato donato, il Padre le esprime riammettendo tutti alla sua vita e offrendo una sovrabbondanza d’amore (Lc.15,23-24): così incoraggia i deboli, rimette in piedi chi è caduto, fa riprendere il cammino a chi è stanco, deluso, scoraggiato. Non si mostra né ostile verso il figlio minore, né sbalordito per il comportamento del figlio maggiore che, di fatto, pur essendo stato sempre accanto al Padre, non lo ha mai veramente amato. Non dimentichiamo che Gesù ha narrato la parabola per gli scribi e i farisei (Lc.15,1) i quali, conoscitori com’erano della Scrittura e frequentatori assidui (forse troppo!) del Tempio e della Sinagoga, erano i fratelli maggiori, incapaci però di accettare, riconoscere, e gioire per la vicinanza di Gesù ai figli minori: i ladri, i peccatori, le prostitute e i poveri di varia natura. Come nella parabola, anche nella vita della Chiesa vi sono credenti che si comportano come il figlio minore e il figlio maggiore. Infatti, vuoi per un malinteso senso della libertà, vuoi perché è prevalsa in loro una cultura narcisistica, vuoi perché la comunità viene sentita come qualche cosa di troppo stretto o di limitante, o peggio di soffocante; oppure, ahimè, vuoi perché infastiditi e scandalizzati dal comportamento dei figli maggiori, alcuni non riescono più ad apprezzare i doni di formazione umana, spirituale, e di comunione ricevuti dopo anni di cammino di fede e si rivolgono altrove; allontanandosi o, peggio, buttando tutto quel ricco patrimonio di vita ricevuto; sposando, non raramente, una mentalità e uno stile di vita pagani. Ciò che la parabola imputa al figlio minore non è tanto la dissolutezza ( le prostitute con cui si è accompagnato) o l’aver sperperato le sostanze, quanto l’insensatezza di aver vissuto in modo “asoton” (greco) cioè “lontano dal senso”, in modo folle, dissennato (15,13);l’aver rinunciato all’ebbrezza dell’Amore, a volare in alto, preferendo il gusto di emozioni forti e piacevoli, per le quali servono amici e soldi. Da notare che il figlio minore, rientrato in se stesso e preso coscienza della sua situazione, non è smosso da alcun pentimento, ma solo da una realistica valutazione di ciò che gli conviene fare in questo momento.(Lc.15,17) Qui il pentimento non appare come condizione per il perdono. Il pentimento verrà fuori, e sgorgherà in tutta la sua forza, solo di fronte all’amore preveniente e imprevisto del Padre, quando il giovane potrà rileggere la propria vicenda alla luce di un amore mai venuto meno, e che ha tenuto il Padre sempre alla finestra, scrutando l’orizzonte, in attesa del ritorno del figlio.(Lc.15,20) Quel Padre che il figlio, simbolicamente, aveva ucciso chiedendogli l’eredità, torna ora a rivivere nel suo cuore grazie all’abbraccio paterno più forte di tutto. E’ il perdono che suscita il pentimento e non viceversa. Ma nella casa del Padre, vi sono anche fratelli e sorelle che, pur rimanendo “formalmente” dentro, si rivelano duri di cuore, rigidi e severi con gli altri, pronti sempre a criticare, a recriminare diritti o affetti, a loro dire, dovuti e mai avuti, lamentandosi di non essere mai stati riconosciuti nel loro servizio. Incapaci di gratuità vera e, dunque, incapaci di perdonare e di accogliere i lontani e i diversi da loro. Come il figlio maggiore sono mossi ( o resi immobili…) più dalla logica del dovere, della prestazione da rendere e, pertanto, infastiditi, perché non retribuita in forma di consenso, di gratificazione, o di visibilità ecclesiale. Ebbene: il Padre ama gli uni e gli altri, soffre per gli uni e per gli altri, cerca luoghi e spazi di misericordia e di perdono per tutti, chiede a chi va e a chi resta di riscoprire la bellezza dell’unità, della riconciliazione, del perdono reciproco, della festa. Non si può fare Eucaristia, divisi. Il vitello grasso si deve mangiare insieme, con animo gioioso e riconciliato. Tutti, infatti, davanti a questo Padre siamo peccatori perdonati; pertanto, tutti abbiamo da perdonare e farci perdonare qualcosa gli uni gli altri. “Padre, rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”( Lc.11,4)