Fiumi d'acqua viva...
Essere luce per poter illuminare
3° Domenica di Avvento anno B
(Is.61,1-2°.10-11;sal.Lc.1,46-50.53-54;1Ts.5,16-24; Gv.1,6-8.19-28)
Anchequesta domenica siamo “messi interiormente in movimento” dalla figura di Giovanni Battista, che ci scuote con la forza del suo messaggio e l’intensità della sua personalità. Egli non è solamente un uomo religioso, che cerca di compiere bene il proprio dovere rispettando i comandamenti, ma è soprattutto “un uomo di Dio”: lo vediamo dal suo stile di vita semplice, sobrio, poco ricercato, poco attento a se stesso. Egli si cura, soprattutto, che la Parola ispirata dei profeti raggiunga il cuore di tutti, perché solo la Parola conduce aGesù Cristo nel quale egli avverte tutto il compimento delle promesse di Dio. Il Messia atteso è già presente, ma ancora non è conosciuto perché occorre qualcuno che lo indichi, e questo qualcuno è il Battista stesso, chiamato a prepararne le strade; e qualche cosa che lo spieghi, la parola di Dio appunto.Giovanni Battista, il testimone della Luce, proclama con coraggio la venuta della Luce che illumina ogni uomo, si dichiara convinto della sua forza salvifica, della possibilità di un mondo nuovo, più gioioso, più risplendente, finalmente libero, dove si cantano inni di gioia e di liberazione. Un annuncio forte, chiaro, definitivo, che nasce anche da un lavoro interiore, di purificazione e di chiarificazione compiuto nei lunghi giorni di deserto che ha permesso a Cristo di risuonare profondamente dentro la vita di quell’uomo. Giovanni è testimone perché è stato cambiato da ciò che ha visto, dall’incontro che ha fatto. Lontano da ogni esibizionismo, o protagonismo, o infatuazione di sé, il testimone è colui che si definisce in riferimento ad un Altro, e conduce chi lo vede e lo ascolta non a sè, ma a questo Altro. La vera testimonianza si accompagna ad una giusta, realistica e umile conoscenza di sé. “ Che cosa dunque? Sei Elia,…sei tu il profeta? Rispose: non lo sono”(Gv. 1,20) La domanda rivolta a Giovanni: “Chi sei tu?” (v. 19) viene proposta ad ognuno di noi mentre ci confrontiamo con il Vangelo e ci sprona a ridefinirci alla luce di quella Parola, di conoscerci in Cristo. La testimonianza evangelica non chiede di fare molte cose, ma di decidere se stessi davanti a Cristo, in relazione a Lui. Il testimone pertanto è colui che sa far nascere il senso di un’altra presenza, di qualcuno che già è presente nella vita, ma che ancora non è conosciuto. Il testimone, insomma, non è tanto uno che sa dare risposte, quanto invece uno che sa suscitare delle domande. Perché solo a domande vere, si possono dare risposte vere. Il dramma della nostra pastorale sta tutto qui: che si fanno tanti discorsi belli e importanti su Cristo, senza che vi siano vere su Cristo, senza che vi sia un vero interesse di Lui e del suo Mistero, senza aver capito se lui abbia o no a che fare con la nostra quotidianità, senza che risulti importante e decisivo per la nostra esistenza. La Chiesa infatti, anche nell’ultimo documento sulla parrocchia ci ricorda che noi viviamo in un tempo di post-cristianità, per cui “ Non si può dare per scontato che si sappia chi è Gesù Cristo, che si conosca il Vangelo, che si abbia una qualche esperienza di Chiesa. Vale per i fanciulli, ragazzi, giovani e adulti; vale per la nostra gente e, ovviamente, per tanti immigrati, provenienti da altre culture e religioni”(Nota CEI: il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia.. N. 6) E vale anche per noi preti. Giorni fa, parlando con un giovane sacerdote che aveva lasciato il ministero, mi disse: “ Mi sono accorto che sono diventato prete, senza mai essere diventato cristiano”. Se così è, come meravigliarsi che ad un certo punto avvenga il collasso? Credo che il Battista non sarebbe stato un appassionato testimone di Gesù Cristo, se il suo percorso di vita non fosse attraverso lo sfrondare delle apparenze e delle illusioni per arrivare alla chiarezza della propria identità e missione. Lo dimostra il modo semplice ed essenziale di vestire e di vivere specchio della sua libertà interiore, che rendono più immediato e credibile l’annuncio della Parola e più trasparente il messaggio. “Io sono voce di uno che grida nel deserto”. “ Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla Luce”. Come risuonano forti queste parole nella vita quotidiana di ogni cristiano, costretto a confrontarsi con il mondo della famiglia, del lavoro, delle amicizie, dello sport,dello studio, dei divertimenti, della chiesa! In tutto questo suo mondo il cristiano deve essere un testimone della Luce, per sentito dire, ma perché già in lui risplende la Luce, quella vera che illumina ogni uomo. Ogni gesto, ogni sentimento, ogni speranza vissute nella nostra dimensione corporale, devono lasciar trasparire quella luminosità propria di chi ha incontrato Cristo e, pertanto, sa in chi ha creduto. Per cui, sta sempre lieto, prega incessantemente, in ogni cosa rende grazie e cerca la volontà di Dio in Cristo Gesù. ( 1Tes.5,16) dalla fede in Cristo, le nostra fragilità non ci turbano, la nebbia del dubbio e del mistero che stempera i colori e impedisce di cogliere la chiarezza dei contorni, non ci mettono paura. Le tenebre non ci sembreranno ì oscure. Del resto: non è nel contrasto del chiaroscuro che un disegno ò esprimere la sua bellezza? La forza della luce non viene forse dalla sua lotta con le tenebre? Davanti al nostro limite Dio non ha abbassato lo sguardo, né si è incupito nel giudizio o nella condanna, ma ha abbracciato con la sua Luce le nostre tenebre, ha mandato l’amore a guarire i nostri egoismi, la vita a sconfiggere le nostre morti. Aiutaci, Signore, ad essere nelle nostre famiglie, come Giovanni Battista, vigilanti per vederti all’opera pur dentro i nostri limiti, forti per indicarti ai fratelli come parola vera, tanto liberi da scomparire dopo che tu sei stato da noi riconosciuto a accolto.
Don Roberto Zambolin