ESSERE EDUCATORI DOC !
(Mal. 1,14b-2,2b.8-10; sal.130;1Ts.2,7b-9.13;Mt. 23,1-12)
DOMENICA XXXI DEL TEMPO ORDINARIO
Le letture di questa domenica invitano tutti coloro che hanno un ruolo educativo ad un momento di riflessione e di verifica. Lo sappiamo : educare non è facile, ma la maggiore difficoltà, probabilmente, non sta tanto nel non sapere che cosa comunicare o come convincere o come far emergere le risorse delle persone; sta, soprattutto, nella coerenza e nella testimonianza di vita. Si educa principalmente con la vita, essendo noi stessi vangeli viventi! Il profeta Malachia e Gesù si rivolgono agli educatori della fede del loro tempo: i sacerdoti, gli scribi e i farisei, riempiendoli di rimproveri molto forti: insegnano e non mettono in pratica le loro parole, “ legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”(Mt. 23,4) e con questo modo di fare, sono di inciampo per molti. La voce del profeta è ferma e senza cautela diplomatica: egli si indirizza con decisione a chi, nella comunità, occupa posti di responsabilità e ad essi contesta un culto ridotto a ritualismo esteriore e la trasformazione della vita sociale a soli interessi privati. Prima di tutto, però, i testi biblici ci ricordano il fondamento di un vero educatore cristiano: la paternità di Dio. Dio è Padre amoroso per i suoi figli; per questo devono vivere fra loro la carità e vanno educati a relazioni ricche d’amore. Dire il “Padre nostro” con il cuore arrabbiato, duro come pietra, o coltivando pensieri non pacifici verso le sorelle o i fratelli, è pregare in modo ipocrita. E’ dire e non fare. E’ diseducare, è apparire piuttosto che essere, è condannarci ad avere, forse, autorità sugli altri per il ruolo che rivestiamo, ma certamente non l’autorevolezza necessaria per parlare di Dio e della fede o per fare formazione seppure umana. Cari amici, S.Paolo direbbe che dobbiamo vigilare su noi stessi perché “ non succeda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato”(1 Cor. 9,27 ) Il discorso di Gesù, pertanto, non è riferito solo ai sacerdoti, o ai farisei, ma anche agli insegnanti, ai genitori, ai catechisti, ai nonni, ai fratelli maggiori: insomma a quanti, in un modo o nell’altro, sono di esempio per le generazioni più giovani o sono chiamati a compiere un servizio qualificato in campo educativo. In particolare sono chiamati in causa gli educatori di fede. Cari genitori, sappiamo bene che i figli ci guardano e che controllano con molta attenzione il nostro agire. I ragazzi, con ogni probabilità, non ci dicono nulla; a volte sono ribelli, ma ci osservano, ci squadrano e ci giudicano. Speriamo non ci squalifichino, ma sappiano trovare in noi, sempre, un punto di riferimento, anche in futuro, per i loro dubbi, le loro difficoltà, le loro fragilità. Ciò impone a noi coerenza di vita, un non barattare i valori umani e cristiani con gli interessi del nostro Io, educare accogliendo, comprendendo, amando, ma senza abbassare le esigenze proprie del Vangelo e della maturità umana. Essere educatori, significa anche vivere in modo coerente la nostra vita, anche quando non educhiamo “ufficialmente”. Pertanto, mettiamo un’attenzione particolare al nostro modo di comportarci: quando portiamo i nostri figli in giro in macchina e commentiamo il traffico e gli altri guidatori, non facciamo i furbi o i più bravi al volante; quando incontriamo chi è diverso da noi, non mostriamo tanta diffidenza; quando diciamo “ non ho tempo” ai figli o alle persone in necessità, non facciamoli sentire come degli scocciatori; quando facciamo la spesa al supermercato, non scegliamo senza pensare. Che il nostro modo di vivere sia sempre improntato a vera libertà interiore, senza mai cedere alle tirannia del denaro, alla legge dei consumi o all’individualismo più narcisista. Che il nostro stile di vita sia semplice, sobrio, accogliente; stiamo attenti anche ai poveri educando, per questo, al risparmio, al sacrificio, al dono di sé; che il nostro linguaggio non sia mai sboccato o volgare, ma sempre rispettoso, educato, pieno di tenerezza e di buone maniere. E potremmo continuare. Nel nostro modo di essere in famiglia, come genitori, in classe come insegnanti, in Parrocchia come servi della comunità: mai porci, nemmeno negli atteggiamenti, in vesti di maestri-giudici, ma di persone adulte, meglio di fratelli maggiori, che si mettono a disposizione per camminare insieme. Poi, certamente, mettiamo nel conto anche i gesti “ buoni” che compiamo, i sorrisi che regaliamo, le parole che ascoltiamo da tante persone e che riportiamo, magari nella conversazione a tavola, facendo intuire la com-passione, le tante generosità che dispensiamo. Cerchiamo di valutare, da buoni educatori, anche l’incidenza delle nostre azioni positive e riprendiamo forza, spinti dalle parole di questa domenica. Ma il vero criterio di valutazione per ogni azione educativa oggi, ce lo dà l’apostolo Paolo nella lettera ai Tessalonicesi: “Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete divenuti cari”. (1Tes.2,8) Il giusto modo per essere educatori - doc., è farci diventare cari coloro che ci sono affidati, al punto da voler offrire tutto noi stessi, perché arrivino alla felicità in Cristo. L’affetto, l’amorevolezza, sono requisiti indispensabili. Solo con queste basi il nostro lavoro non rischierà di essere svolto per la gloria personale o per interesse, ma solo per servizio. Non si tratta di diventare educatori eccezionali, ma educatori sinceri nelle parole e nelle opere, coltivando da una parte la passione per il Vangelo di Cristo e dall’altra l’attenzione alla realtà umana dei fratelli.