DOVE STIAMO ANDANDO?
SESTA DOMENICA DI PASQUA
(Atti 15,1-2.22-29; sal.66;Ap.21,10-14.22-23;Gv.14,23-29)
Quando ci troviamo a guardare il telegiornale, può capitare che desideriamo vivere in un altro mondo, in città fatte su misura, con servizi capaci di soddisfare i nostri bisogni. Come sarebbe bello vivere in una città pulita, con tanto verde, curato e ben tutelato, ove poter passeggiare senza paura di essere investiti da qualche automobile o derubati; dove non c’è violenza, non ti devi guardare le spalle, dove l’aria è respirabile, dove tutti hanno le cure necessarie per le malattie, un pasto caldo e qualcuno che si prenda cura di te. Che bella una città mondiale dove le “bidonville” non esistono e ognuno ha un lavoro dignitoso. Che bella una città dove i conflitti si risolvono nel dialogo e nel rispetto reciproco, senza “autobombe”, con tanti ponti e senza muri divisori…Che bella una città globale dove la fame è un bisogno temporaneo fra un pasto e l’altro e non una causa di morte…Che bello! Ma la realtà, ahimè, è ben diversa! Sarà sempre così? Molto, anzi moltissimo, dipende da noi… Forse per rendere più belle e più accoglienti le nostre città, dovremmo capire verso “ quale città ” l’umanità è incamminata: è una città nuova, una città santa: “ Perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura”(Ebrei 13,14) la cui costruzione, però, inizia già in questa nostra storia, nella vita di ognuno di noi. Gesù vuole portare la vita nuova non solo nel nostro cuore aperto ma, attraverso ciascuno, anche nelle nostre case, nelle nostre città, nelle nostre periferie, nella vita politica così conflittuale a volte… Certo la pace di Gesù non è come quella del mondo: il mondo dà la pace come un saluto, come augurio, come un desiderio, ma non è capace di comunicarla come dono di Dio agli uomini, come fondamento di una esistenza nuova, come espressione di una cultura di donazione, che è in fondo la cultura della Risurrezione di Cristo. Gesù infatti è morto ed è risorto non per lui, ma per noi. Tutto egli ha compiuto per noi. Dal Mistero della sua Incarnazione “Dio ha dato il suo Figlio per noi”(Rm.8,32) fino alla promessa finale: “Vado al Padre, ma tornerò a voi”(Gv.14,28), tutta la vita di Gesù è stata amore appassionato per l’umanità. Ecco il fondamento solido sul quale costruire la città umana, più fraterna e solidale che poi troverà pieno compimento nella città futura: l’amore per i fratelli, fino alla consumazione di sé. E’ una città, che si costruisce trasformando in energia d’amore tutta la nostra persona: mente, cuore e volontà, purificandola, ove fosse necessario, dalle zone d’ombra dell’egoismo e della chiusura in se stessi. Perché tutto diventa più bello e più vivibile, se ognuno di noi diventa più bello e più vivibile… La pace del risorto, poi, non si impone come fa il mondo: firmando intese o contratti di non belligeranza. Dietro tutto questo si nasconde, timore, paura dell’altro, compromessi economici e/ politici. La pace che non turba il nostro cuore e che produce autentici frutti di cambiamento, si radica su un modo nuovo e diverso di amare, quello che Gesù ci ha lasciato: “ Amatevi come io vi ho amato”(Gv.13,34). Scrive don Primo Mazzolari: “Nella verità del nuovo comandamento dell’amore, la pace non sopporta restrizioni o accomodamenti giuridici di alcun genere. Il comandamento “non uccidere”, fa cadere ogni distinzione fra guerra giusta e ingiusta, difensiva o preventiva, reazionaria o rivoluzionaria. Ogni guerra è fratricidio, oltraggio a Dio e all’uomo. O si condannano tutte le guerre, anche quelle difensive e rivoluzionarie, o si accettano tutte. Basta un’eccezione per far passare tutti i crimini” (P. Mazzolari, tu non uccidere, pagg.114-115) Anche la famiglia può diventare una piccola cittadella della pace, nella quale le relazioni sono impostate sull’amore esigente di Dio. Essa diventerà così “ la fidanzata, la sposa dell’Agnello”(Ap.21,9); sarà una famiglia nella quale i membri sentiranno di essere amati dal Signore fino a portare “il suo nome sulla fronte”(Ap.22,3-4), e come “una città risplendente della gloria di Dio”(Ap.21,10). Così pure una parrocchia nella quale ci si sforza giorno per giorno di vivere la comunione in Gesù e come ci ha insegnato Gesù, costituisce una città luminosa e trasparente, dove non vi è la preoccupazione di garantire ai fedeli un efficiente servizio di illuminazione perché “la gloria di Dio la illumina”(Ap.21,22) e dove le porte sono larghe e numerose per permettere a tutti di entrarvi. Questa città è chiamata: “Dimora di Dio con gli uomini”(Ap.21,3). Utopia? Dipende da quanto spazio e disponibilità noi diamo alla conversione a Cristo nella nostra vita. Gesù, infatti ci ricorda: “ Se uno mi ama e osserva la mia Parola, il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui, e prenderemo dimora presso di lui”(Gv.14,23)