Dove abita Dio? - Il Mondo di Aquila e Priscilla

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Fiumi d'acqua viva...

Dove abita Dio?
2° Domenica del Tempo Ordinario anno B
(1Sam.3,3b-10.19; sal. 39;1Cor.6,13c-15a.17-20;  Gv. 1,35-42)


Dove abita Dio? L’ “Innominato” dei Promessi Sposi che ha incontrato Dio nel percorso della sua vita, qualche momento prima di arrendersi alla grazia che ormai lo aveva raggiunto attraverso la robusta figura del cardinale Federico, dice: “Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?» E il cardinale: «Voi me lo domandate? voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l’imploriate?» Il Vangelo di oggi non lascia dubbi:la dimora di Dio è la persona stessa di Cristo. Chi dimora in Cristo come sua casa, suo cuore, sua vita, suo tutto, dimora in Dio e Dio dimora in Lui. Non è certamente questa un’abitazione fatta da mani d’ uomo ma, proprio per questo, destinata a non cadere, a durante nel tempo, per l’eternità, per sempre. Chi vive la propria vita dimorando in Cristo costruisce la propria casa sulla roccia.(Mt.7,24-27) Il vero discepolo di Gesù è colui che fa di Cristo la propria casa, la propria abitazione, arrivando ad una comunione profonda con Dio e con i fratelli. Il quarto giorno della prima settimana di attività di Gesù, così narra il vangelo di questa domenica, quando era circa l’ora decima, due discepoli - l’uno, con tanto di nome e cognome: Andrea bar Jonas, e l’altro, volutamente anonimo, ma quasi sicuramente Giovanni di Zebedeo - dicono di aver trovato il Messia, l’Agnello di Dio che il discepolo amato assicurerà poi non solo di aver visto con i suoi occhi, e di aver addirittura “palpato” con le sue mani: ed era il Verbo della vita, la parola del Padre, fatta carne, fatta presenza storica.(1Gv.1,1-3) Sempre Il brano evangelico di oggi, attraverso alcuni verbi essenziali ci propone i tratti caratteristici del vero discepolo I verbi essenziali risultano essere: cercare, incontrare, testimoniare.“Che cercate?”: sono le prime parole di Gesù nel quarto vangelo, ed esprimono la domanda cruciale, assolutamente inevitabile per chiunque si metta al suo seguito. Perché c’è seguire e seguire, c’è ricerca e ricerca. C’è chi ricerca sinceramente e umilmente, come Nicodemo, (Gv.3,1-21) e c’è la ricerca ambigua delle folle, dopo il segno dei pani, che inseguono Gesù per farlo re.(Gv.6,14) C’è anche l’illusione di chi pensa di cercare Cristo, ma in realtà cerca solo se stesso. Per questo il Maestro in persona si premura di fare chiarezza: “Chi cercate?”(Gv.18,4), domanda a quanti sono venuti a catturarlo al Getsemani, forse per avere un po’ di soldi… E nel giardino di Pasqua chiederà alla Maddalena che vuole abbracciarlo: “Chi cerchi?” Perché la ricerca sia fruttuosa, si richiedono due condizioni indispensabili. Che non si cerchi da soli, guidati magari dalle emozioni, dai sentimenti, da un certo qual bisogno del sacro. La fede è sempre il frutto di una esperienza. Per questo è importante la testimonianza di chi ha già trovato. Come avviene appunto per i primi due discepoli: hanno appena ascoltato la testimonianza del Battista, l’hanno appena visto puntare l’indice verso l’Agnello di Dio, che si sono messi subito sulle sue tracce.(Gv.1,36) E questa è la seconda condizione: non si può cercare rimanendo immobili, arroccati sulle proprie posizioni, abbarbicati alle proprie abitudini mentali, bloccati da mire e interessi personali; occorre scomodarsi, uscire, incamminarsi. Si cerca disponibili a cambiare strada, a mutare vita dopo quell’incontro. Come hanno fatto i Magi, come farà Zaccheo o il cieco di Gerico. Altro verbo immancabile nel discepolo è vedere: “Venite e vedrete”. Nel nostro vocabolario vedere si oppone a credere… mentre per Giovanni vedere è proprio il verbo della fede: è un conoscere Gesù e riconoscere in lui il nostro Salvatore. Non si tratta di un vedere puramente intellettuale, filosofico, ma si tratta di un vedere più in profondità: è vedere ciò che accade, incontrare una persona, e coglierne il mistero, il cuore,la sostanza interiore, il sostrato profondo. Nel chiedere dove abitava, i discepoli sembrano domandare: Maestro, dicci qual è la tua vita, il tuo stile di comportamento, il mistero della tua persona...E, dopo essersi messi sui suoi passi, i Dodici fanno l’esperienza della compagnia: il loro trattenersi nella casa di Gesù indica la scelta di una comunanza di vita e di destino, una intima, intensissima comunione. Infine viene l’ora del testimoniare: è il terzo verbo del discepolo, il quale da uno che ha trovato diventa colui che aiuta a trovare, e si fa “passa-parola”. Maestro Eckhart affermava: “Se Cristo per me è tutto, allora Lui con tutto il resto, e Lui solo senza nulla del resto, sono la stessa cosa”. Che è come dire: il Signore mi basta; anche se dovessi rimanere senza niente, mi rimarrebbe sempre lui. I martiri preferiscono farsi staccare le membra, piuttosto che staccarsi da Cristo. Cristo è più mio che le membra del mio corpo (cfr. 2ª lettura). Le mie mani, i miei piedi, il mio pensare e il mio agire sono mossi dal suo cuore. Per la fede, oggi, l’unico modo per non snaturarsi in un indolente e accomodante conformismo è quello di riportare Cristo al centro di ogni cristiano, al cuore di ogni comunità, alla radice di ogni nostra attività. Come ci ricorda l’apostolo Paolo:” Per me vivere è Cristo”(Fil.1,21).


Don Roberto Zambolin


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