DIO NON SCEGLIE I MIGLIORI
3° DOMENICA DI PASQUA
(At. 5, 27b-32. 40b-41;sal.29;Ap.5,11-14;Gv.21,1-19)
Il dialogo tra Pietro e Gesù viene interpretato, di solito, come la riparazione del triplice rinnegamento dell’apostolo. Pietro, dopo l’Ultima Cena, aveva infatti affermato: “Io non mi scandalizzerò di te…non ti rinnegherò”(Mt.26,33-35) Poi, nel cortile del sinedrio, giungerà a giurare: “ Non conosco quell’uomo!”(Lc.22,54-60) Gesù, sulle sponde del lago di Tiberiade, sembra offrire a Pietro una occasione di riscatto davanti alla piccola assemblea dei discepoli. Dopo la pesca miracolosa, vuole offrire qualche cosa di più dei centocinquantatrè pesci. Amare, infatti, non significa solo dare la possibilità di star bene, di “ riempirsi la pancia”. Voler bene è anche dare occasioni per permettere all’amata/o di riacquistare fiducia e dignità. Gli esegeti ritengono che questo brano sia stato aggiunto dall’evangelista in una successiva stesura. Perché questa aggiunta? Forse perché la vicenda della “terza volta che Gesù si manifestava ai suoi discepoli”(Gv.21,14) ci racconta qualche cosa del modo di amare del Signore, diverso dal nostro. Noi confondiamo l’amore con la perfezione. Solo chi è bravo, buono, accondiscendente, è degno del nostro amore. Per la nostra gratificazione, riteniamo che possa essere degno di amore solo chi è bello e desiderabile. Quante volte il figlio è considerato come un piccolo genio, un concentrato di perfezione e si attribuisce all’insegnante la responsabilità di un insuccesso scolastico del ragazzo? Allo stesso modo, come è triste vedere un figlio rifiutato perché indesiderato o perché non è perfetto come il padre e la madre! Quante coppie entrano in crisi perché scoprono di non essere capaci di soddisfarsi reciprocamente nei desideri, nelle ambizioni, nelle attese, perché il partner non è come lo si vorrebbe! Dio non sceglie per sé i migliori; Dio sceglie come testimoni della Risurrezione del suo Figlio anime umanamente timide, dubbiose, instabili ma cariche di disponibilità, aperte al cambiamento, alla conversione; gente peccatrice, sì, ma appassionati di Lui! E’ l’amore che trasforma la persona, non il contrario. Se per amare qualcuna/o dobbiamo aspettare una sua risposta alle nostre attese, noi ci consumeremo invano nella nostra sete di amore. Un padre domenicano dell’800, predicando un ritiro alle detenute diceva: “ Dio non vi chiederà se siete rimaste pure e fedeli, vi chiederà se lo amate molto”( padre Lataste) e aggiungeva: “ Una amicizia riannodata è più stretta e più forte di quelle che non si sono mai rotte”. Due fidanzati non sono intimoriti dal disprezzo delle famiglie di origine per il loro amore, o dagli ostacoli che mettono per far interrompere il loro percorso affettivo; caso mai la coppia ne trae forza per consolarsi e rifugiarsi nelle braccia l’uno dell’altro! Il Vangelo di oggi ci svela veramente che cosa significa amare, quando ci racconta di Gesù che sfama un gruppo di lavoratori delusi perché “in quella notte non presero nulla “(Gv.21,3) Si pesca tutta la notte e non si prende niente: con che cosa domani si comprerà il pane per la famiglia? All’alba, all’ora in cui chi ha vegliato tutta la notte non ce la fa più, allora dello scoraggiamento, eccolo sull’altra riva, Lui, il Risorto, a rassicurare i suoi, a dire con la sua presenza tutto il suo amore per loro, a consigliarli, a proteggerli, a confortarli, e alla fine a dar loro da mangiare. L’uomo spesso ha più fame di vicinanza d’amore che di pane, e la mancanza della prima unita all’ingiustizia (che è una forma di non amore) è causa della seconda. Non è la laboriosità esaltata dal nostro sistema economico a dare la felicità o la sazietà per tutti. Felice è colui al quale viene riconosciuta la sua dignità, perdonato il suo peccato, amato per ciò che è. Perché l’amore, quello vero, ci sorprende sempre, è inatteso, insperato, impensato…Non a caso Pietro rimane addolorato quando Gesù per la terza volta gli chiede: “ mi ami ? “(Gv.21,17) Le tre domande di Gesù sono quasi un pretesto, uno stratagemma che egli usa per riaffermare la fiducia in chi lo ha abbandonato nel momento della Passione. Sono per noi l’affermazione di un modo di amare senza confini: non sono i migliori che vanno amati, sembra dirci Gesù, ma i più deboli, le persone che hanno maggior bisogno del nostro amore. Forse per questo Egli sceglie per la sua chiesa gente non proprio limpida e perfetta: per poterla amare più intensamente... Quanti di noi ragionano così di fronte ad una Chiesa che per tanti versi ci può lasciare perplessi? Vi sono cristiani che, scandalizzati, girano le spalle alla madre Chiesa, o separano la fede in Cristo dall’amore per la sua Chiesa: non è anche questo un modo per amare se stessi, per sentirsi migliori degli altri? Dice Paolo: “Dio ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei per renderla santa e senza macchia"(Ef.5,27) Non ne ha preteso la santità prima di amarla; al contrario l’ha resa santa amandola. E noi?