LETTURE PATRISTICHE - Tempo Ordinario
Dalla «Lettera» di san Fulgenzio di Ruspe, vescovo
(Lett. 14, 36-37; CCL 91, 429-431)
Cristo è sempre vivo e intercede per noi
Dobbiamo
anzitutto prestare attenzione a ciò che diciamo al termine di ogni
preghiera: Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio, mentre non ci
serviamo mai dell'espressione: Per lo Spirito Santo. La Chiesa non fa
questo a caso nelle sue celebrazioni, ma in riferimento al mistero per
cui l'uomo Cristo Gesù è diventato mediatore fra Dio e gli uomini (cfr. 1
Tm 2, 5), «sacerdote per sempre al modo di Melchisedek» (Sal 109, 4;
cfr. Eb 7, 17). Egli, in virtù del proprio sangue, è entrato una volta
sola nel santuario, non certo in quello che era solo figura del vero
(cfr. Eb 9, 24-25), ma nel cielo stesso, dove siede alla destra del
Padre ed intercede a nostro favore.
Contemplando in lui la
dignità sacerdotale, l'Apostolo dice: «Per mezzo di lui dunque offriamo a
Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che
confessano il suo nome» (Eb 13, 15). Per mezzo suo dunque offriamo il
sacrificio di lode e di preghiera, perché per la sua morte siamo stati
riconciliati, noi, che eravamo nemici.
È sempre per mezzo di
Cristo, diventato vittima per noi, che il nostro sacrificio può essere
trovato accetto al cospetto di Dio. Perciò il beato Pietro ci esorta:
«Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un
edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici
spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pt 2, 5).
Ecco perché diciamo a Dio Padre: Per Gesù Cristo nostro Signore.
Quando
si fa menzione del sacerdote, che cos'altro si vuole mettere in
evidenza se non il mistero dell'incarnazione del Signore, per cui il
Figlio di Dio «pur essendo di natura divina, spogliò se stesso assumendo
la condizione di servo», cioè «si umiliò facendosi obbediente fino alla
morte» (Fil 2, 6-8) e si abbassò rendendosi «inferiore agli angeli» (Eb
2, 7), senza perdere tuttavia l'uguaglianza della divinità con il
Padre? Il Figlio, pur restando uguale al Padre, si è reso inferiore,
perché si degnò di diventare simile all'uomo. Egli stesso poi si rese
inferiore, quando spogliò se stesso prendendo la condizione di servo.
L'umiliazione
del Cristo dunque è il suo stesso annientamento; e tuttavia il suo
annientamento null'altro è se non il rivestirsi della condizione di
servo. Cristo dunque, pur rimanendo Dio, Unigenito di Dio, al quale
offriamo sacrifici come al Padre, diventando servo si è fatto sacerdote e
così per suo mezzo possiamo offrire una vittima viva, santa, gradita a
Dio. Tuttavia Cristo non avrebbe potuto essere offerto da noi come
vittima, se non fosse diventato vittima per noi. In lui la nostra stessa
natura umana è vera vittima di salvezza. Quando dunque noi affermiamo
che le nostre preghiere sono offerte per mezzo di nostro Signore, eterno
sacerdote, confessiamo che in lui c'è la vera nostra carne umana,
secondo quanto afferma l'apostolo Paolo: «Ogni sommo sacerdote, scelto
fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che
riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati» (Eb 5, 1).
Quando
nella preghiera diciamo: «Figlio tuo» ed aggiungiamo «che vive e regna
con te nell'unità dello Spirito Santo» diamo risalto anche all'unità di
natura che egli ha con il Padre e lo Spirito Santo: e con questo
proclamiamo lo stesso identico Cristo, che esercita per noi l'ufficio
sacerdotale, e che ha unità di natura con il Padre e lo Spirito Santo.