Cristo e la vedova
32° Domenica del Tempo Ordinario anno B
(1Re,17,10-16;sal.145;Eb.9,24-28;Mc.12,38-44)
Il brano del Vangelo di questa domenica che pone l’attenzione sulla vedova che getta due monetine per le necessità del tempio di Gerusalemme a differenza dei ricchi che ne gettavano molte, si collocata tra la conclusione delle controversie di Gesù al tempio e sul tempio (Mc 11,27-12,40) e la profezia sulla distruzione del Tempio stesso ( Mc13 ,1-2).Per questi motivi è un testo significativo per capire la figura di Cristo. Cristo è il vero povero, la pietra scartata dai costruttori, Colui che di fronte "ai molti ricchi di soldi e di superbia" del tempio, era ritenuto insignificante; eppure è divenuto pietra d’angolo di una nuova costruzione, di un popolo nuovo, fatto di pietre vive, opera fatta dal Signore, meraviglia ai nostri occhi (Mc 12,1-12 ; Sal 118,22-23). Il racconto dell’obolo della vedova, pertanto, non è innanzitutto un racconto morale sulla generosità-non generosità, ma una narrazione esemplificativa del destino di morte di Gesù e del senso di quella morte e della intera sua vita. Tutto ha inizio da un atto di osservazione di Gesù, il quale «seduto di fronte al tesoro», alla cassetta cioè che raccoglieva le elemosine fatte al Tempio, guarda la folla che vi depone la propria offerta. Sostanziosa, molte monete, quella di tanti ricchi, una cifra pressoché insignificante quella di una povera vedova: due monetine che fanno un soldo (lt Mc 12,41-42 ). All’osservazione del fatto, Gesù fa seguire la chiamata a sé dei discepoli e l’interpretazione di quanto ha visto: questa vedova ha gettato più di tutti, tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere, non il superfluo (Mc 12,43-44). Non ha gettato cioè qualcosa, ma ha buttato la sua stessa vita, il tutto di sé, per un mondo, una società, una religione, aspetto questo da sottolineare, rappresentati da un Tempio che non dà frutti, in cui si svolgeva un culto molto formale, lontano dalla vita, svuotato di vero amore verso Dio e il prossimo. e frequentato in massima parte da gente che conta e che si distingue per divorare le case delle vedove ( Mc 12,40), dei poveri. In breve, questa vedova dà tutto ciò che ha per vivere, per un mondo non meritevole, quello che noi troviamo in ogni luogo e in ogni tempo, a cominciare da ciascuno e dalle proprie Chiese. Un gesto assurdo, al di là di ogni logica, apparentemente che va contro se stessa, fatto da parte di una creatura insignificante per l’ambiente di allora che emarginava le vedove: la sola ad agire così, e per una realtà umana in declino che continua a tagliare i suoi figli minori (Mc 12,1-8 ), eppure che ella continua ad amare oltre ogni ragionevolezza e buon senso al punto da dare tutto il proprio corpo e tutto il proprio sangue per essa ( Mc 14,22-25). Gesù nella vedova ha letto se stesso e la sua morte: apparentemente così assurda, così inutile, e invece così altamente significativa; è dal dono generoso di sé fatto anche a chi radicalmente ti nega che qualcosa di nuovo può nascere sotto il sole: sono le lacrime segno di una guarigione (Lc 22,62) operata da queste piaghe d’amore (1Pt 2,24).
Marco a partire da questo racconto, apre porte e finestre di riflessione ininterrotta sulla Chiesa delle origini e di sempre che dal significato folle e scandaloso (1Cor 1,23) di un evento, la Croce, evocato dall’episodio dell’obolo della vedova, dovrà essere nel mondo segno di riconciliazione e di misericordia con Dio e tutte le persone. Dio in Cristo si identifica con una creatura nella miseria, la vedova appunto, la cui generosità senza limite, senza riserve, stà nel donare totalmente se stessa, per puro amore, a un mondo assurdo che la sfrutta. Questa povera vedova che dona tutto quello che gli rimane per vivere, è icona dello spegnersi di Cristo per uomini di ogni dove senza frutti, senza qualità, sempre pronti a spegnerLo: io, tu, noi, loro senza eccezione alcuna, infastiditi dalla sua stessa presenza che costringe a rendersi conto di come ci presentiamo agli altri: siamo gente che fa di tutto per farsi vedere e ammirare dagli uomini. Ma là dove tale dono di Cristo viene accolto diventando stile di vita, e le vie al "sì" sono tante quante sono le creature umane, lì inizia a nascere la persona nuova, che potrebbe dar vita con il contagio del proprio amore ad una "nuova catena di vedove" che nella loro pochezza hanno appreso qual’è la vera ricchezza che dà senso al vivere e al morire, aprendo scenari inediti di resurrezione: consumare se stessi per ciò che amabile non è. Dio, in Cristo, in forza del suo sguardo al contempo lucido e tenero: vede la mia insipienza e si muore per rendermi sapiente, vede la mia cattiveria e si muore per rendermi buono, vede la mia meschina astuzia e si muore per rendermi semplice. Vede la mia non qualità e mi sogna a sua altezza: «predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio» (Rm 8,29 ).Spesso sono le persone che noi riteniamo insignificanti per possesso, per cultura, per estrazione sociale quelle che meglio incarnano il senso della vita e del Vangelo. Perché mancano delle nostre sovrastrutture: infatti o sono poveri o si sono liberati dalla schiavitù delle cose. L’idolatria,infatti, è il vero peccato, quello che è capace di uccidere Dio e gli uomini.